L’arte di saper tramontare, di Massimo Recalcati

In più occasioni Nietzsche ha ricordato che l’arte più alta che un essere umano può esercitare è quella di saper tramontare. Con una aggiunta che non dobbiamo trascurare. Saper tramontare, scrive, “al momento più giusto”. Si tratta di un drammatico problema che investe attualmente la figura tristemente patetica e sfinita di Joe Biden, ma che, in realtà, definisce più in generale il carattere essenziale di una leadership politica all’altezza del suo compito. Un vero leader, infatti, dovrebbe lavorare sin dal primo giorno del suo incarico per preparare la sua successione, per rendere il suo gruppo di appartenenza non dipendente dalla sua azione, per trasmettere il senso più fecondo dell’eredità. In questo senso lo scacco evidente di una leadership com’è quella di Biden mette sotto accusa non solo il soggetto in questione e il suo entourage più familiare, ma un intero partito e una intera cultura politica. Come è possibile che nel corso degli anni non sia stata coltivata con la giusta attenzione un passaggio di consegne generazionale, la trasmissione efficace di una eredità? L’arte di sapere tramontare dovrebbe guidare un leader degno di questo nome sin dal giorno del suo insediamento. Circondarsi non dai mediocri ma dai migliori, guardare con cura alle nuove generazioni, ai loro talenti, affidare a loro compiti e responsabilità, attivare un principio di delega diffuso, non accentrare il potere sulla propria persona. Si tratta di una versione non patriarcalenon edipica — della leadership che non si struttura più verticalmente ma secondo una orizzontalità plurale. Operazione complessa, più facile a dirsi che a farsi, che ha come presupposto l’idea che il leader non si manifesti essenzialmente attraverso un comando esercitato dall’alto e destinato a trasmettersi gerarchicamente verso il basso, ma come una luce che s’irradia. La versione verticale della leadership è una versione fallica del potere. Non a caso essa si identifica spesso con il corpo vigoroso o carismatico del leader esibito come un feticcio pubblicitario. Esaltare la potenza virile del leader dovrebbe offrire una garanzia di solidità e affidabilità. Spesso queste raffigurazioni autoritarie della leadership si sono storicamente impaludate in forme diverse di paranoia. Più, infatti, il potere si concentra nelle mani di un solo uomo e più fatalmente aumentano i nemici potenziali. Stalin elimina uno dopo l’altro i membri del comitato centrale del suo partito accusati di tradimento della Causa. In questo senso lo sguardo del leader che rifiuta il tramonto non vede mai nei suoi figli dei degni successori ma solo dei potenziali parricidi. Questa percezione distorta del rapporto tra le generazioni rafforza inevitabilmente il suo legame con il potere e la difficoltà a staccarsi dalle sue leve. È un problema che ha attraversato anche il nostro paese. Ne abbiamo visti leader che anziché passare il testimone alle nuove generazioni si sono confusi con il partito che dirigevano come se fosse una loro proprietà. In gioco nell’arte di saper tramontare come virtù fondamentale di ogni leadership è il rapporto del leader con la morte. Tanto quanto la rappresentazione fallica del leader pretenderebbe di oscurarne la presenza facendosi addirittura in alcuni casi simbolo religioso di una immortalità incorruttibile dal tempo, tanto quanto il corpo tremante e smarrito —totalmente svirilizzato — di Biden rivela, come accadde a quello di Berlusconi nella parabola finale della sua carriera politica, una fragilità sconcertante che contrasta con il ruolo che si candida irresponsabilmente a ricoprire. Poiché il vero problema di questa inverosimile candidatura non è tanto quello di vincere la competizione con Trump, ma l’eventualità sciagurata di una sua vittoria. Come potremmo immaginare un uomo così debilitato, confuso, evidentemente a fine corsa, alla guida degli Stati Uniti? Il caso Biden dovrebbe spingerci a pensare a forme femminili della leadership dove l’ingombro fallico non offuschi la visione, dove l’attaccamento al potere non è questione di vita e di morte. Bisognerebbe ricordare altresì che il tramonto non è solo il tempo di un indebolimento fatale della luce del sole, il tempo della fine desolante della giornata, ma l’incanto di una bellezza struggente, uno spettacolo straordinario che ogni volta ci colpisce. Dovremmo allora modificare il nostro sguardo per vedere nell’arte del saper tramontare un gesto nobile di trasmissione dell’eredità più che l’esito di un destino crudele, di una caduta senile del leader, di una sconfitta dettata dall’inesorabilità del tempo che passa; un gesto grande che ha in sé la bellezza infinita dei tramonti, il dono di una eredità che resta viva solo grazie a questo dono.

repubblica.it/commenti/2024/07/10/news/biden_usa_tramontorecalcati-42338875/

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