La scommessa di Macron vinta (a metà): la «paura mobilitatrice» che ha frenato l’estrema destra e il rischio dell’ingovernabilità, di Massimo Nava

Un sussulto repubblicano, un fremito democratico, un’iniezione tardiva di prudenza e saggezza. Si sprecano in queste ore, con l’enfasi tipicamente francese che accompagna uno scrutinio davvero storico, le definizioni sintetiche del risultato politico: la maggioranza dei francesi, di diversa tendenza e colore, ha impedito all’estrema destra di conquistare il potere e ha stravolto le previsioni, passando da un cupo clima di restaurazione autoritaria all’euforia pre rivoluzionaria delle sinistre che conquistano il potere. In soli sette giorni. Poi dicono che è la patria di Cartesio. Grazie alla mobilitazione eccezionale degli elettori, al senso di responsabilità dei partiti, alla consapevolezza del salto nel buio che avrebbe comportato (per il Paese e per l’Europa) un governo guidato dal Rassemblement National, la Francia ha aperto il paracadute sull’orlo del baratro.
La risposta dei francesi rivaluta in una certa misura anche l’azzardo del presidente Macron, criticatissimo in questi giorni per avere deciso di indire elezioni anticipate, correndo appunto il rischio di consegnare il governo del Paese all’estrema destra. È stato, a giochi fatti, un rischio calcolato. Il presidente aveva perso la sua maggioranza già alle legislative del 2022. Continuare la legislatura con un governo di minoranza, paralizzato dai veti e contestato dalla piazza, avrebbe soltanto fatto crescere la rabbia dei francesi e il consenso dell’estrema destra. In pratica, consegnato a Marine Le Pen le chiavi dell’Eliseo nel 2027. «Se avessi lasciato andare le cose senza sciogliere l’Assemblea non riesco a immaginare che cosa potrebbe succedere. Il presidente deve agire nell’interesse della nazione, prima che preoccuparsi della sorte della sua maggioranza ». Sono le parole di Jacques Chirac quando decise di indire elezioni anticipate nel 1997, consegnando peraltro anche allora la Francia alle sinistre e il governo al socialista Lionel Jospin.
Di sicuro, erano questi i pensieri di Macron, quando ha maturato la sua decisione. Molti osservatori l’hanno considerata impulsiva, sull’onda della sconfitta alle europee. In realtà maturata da tempo per salvare il salvabile. Scommessa vinta? La Francia ha davanti a sé un biennio complicato, una crisi probabilmente punteggiata da disordini e dal rischio di uno shock economico. Già da ieri sera, le grandi incognite sono l’ordine pubblico e la possibilità del governo in carica di gestire almeno la tregua olimpica.
 Se questo dato scalda il cuore di tutti i democratici e degli europei, il quadro politico e sociale del Paese resta drammaticamente complicato, con forti rischi di instabilità.
La  «paura mobilitatrice» ha frenato l’estrema destra, ma ha consegnato la maggioranza relativa a un Fronte delle sinistre quantomai eterogeneo e fino a ieri litigioso. In pratica, si profila un parlamento dominato da due blocchi contrapposti (il Fronte delle sinistre unite e il Rassemblement National), con un centro (la ex maggioranza del presidente Macron) fortemente indebolito. Il rischio è l’ingovernabilità, salvo un’ attitudine al compromesso che non appartiene alla tradizione francese. Tanto più che il Fronte delle sinistre contiene ambiguità ideologiche sull’economia e la collocazione internazionale della Francia e il Rassemblement National mantiene una proposta illiberale, anti europea, sostanzialmente xenofoba, contrapposta al modello di società francese cementato nella Quinta Repubblica.
Adesso si apre una fase d’incertezza inedita, che molti osservatori paragonano all’Italia degli ultimi decenni, rivalutando peraltro la nostra capacità di trovare soluzioni fuori dagli schemi tradizionali che sono saltati o sono stati travolti dalla frammentazione delle forze politiche. Si parla anche di « governo tecnico », sostenuto da una coalizione più ampia possibile (che escluda estrema destra ed estrema sinistra) mentre molti commentatori si chiedono chi potrebbe essere il « Supermario » francese, ovvero un Monti o un Draghi che timoni la nave fuori dalla tempesta. Ma si guarda anche alla Germania, dove non da oggi forze idealmente contrapposte si sono unite per assicurare la governabilità. 
Una coalizione «semaforo» (con socialisti, gollisti, verdi e « macroniani») o una maggioranza « Ursula », secondo lo schema che ha portato alla rielezione della Von der Layen. Ma se i dati definitivi saranno confermati, il Fronte unito delle sinistre, con la componente del radicale Jean Luc Melènchon maggioritaria al suo interno, pretenderà molto di più. Sempre che rimanga «unito» davvero.

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