Meloni, le destre europee e le derive neofasciste, di Rocco D’Ambrosio

Un vento di destra, sempre più forte, continua a soffiare in Italia e in Europa. Cominciamo dai numeri: parlare di maggioranza numerica nel Paese è esagerato quanto falso. Dai dati europei provvisori prendiamo come riferimento le destre, in Paesi dove grosso modo ha votato la metà degli elettori. In Italia, sul 48% di votanti, FdI ha ottenuto il 28%; in Francia, sul 51% di votanti, il partito di Le Pen, Rassemblement National, ha ottenuto il 31%; in Spagna, sul 49% di votanti, Vox ha ottenuto il 10%; in Germania, sul 65% di votanti, Afd ha ottenuto il 16%; in Austria, sul 56% di votanti, FPO ha ottenuto il 25%.

Premetto che questa analisi della destra non si basa assolutamente sul considerare tutta la malpolitica solo a destra e la buona politica solo a sinistra, (sulla quale c’è tanto da dire su colpe e limiti). Dall’altra parte, questa ottica bipolare è riduttiva e fomenta estremismi deleteri. In gioco per la destra e la sinistra c’è sempre la fedeltà alla Costituzione, che non è di parte ma unifica le parti in una visione superiore, per chi ci crede seriamente e la rispetta quotidianamente, a destra come a sinistra.

Sempre in maniera approssimativa, si può affermare che le correnti di destra non sono maggioritarie, spesso nemmeno di maggioranza relativa. In Italia FdI può contare su un “reale” 14% di consensi, rispetto al numero complessivo degli aventi diritto. Siccome non ci è dato di sapere (neanche in termini previsionali) cosa voterebbero gli astenuti, non possiamo azzardare nessuna ipotesi sul numero reale dei sostenitori, lo stesso dicasi di tutti i partiti coinvolti. Certamente, di destra (o di altro), non è la maggioranza degli italiani (anche se si considerano i voti di Lega e FI), ma è certamente una “maggioranza” influente e ciò per diversi motivi.

Prima di tutto perché la coppia Meloni e Salvini, con prassi e discorsi apparentemente diversi, ha sdoganato e dato forza a una cultura, che prima di essere politica è antropologica ed etica (Vannacci è quindi la punta di un iceberg). Il “prodotto” servito su tutti i media asserviti ha due facce, non solo per alcuni leader italiani, ma un po’ per tutti i populisti presenti in Europa e nel mondo. La prima faccia consiste nell’esibire una maschera falsata di sé, che tenta di rispondere alle diverse aspettative dei cittadini e fa di tutto per convincere della propria autenticità. Questi leader amano nascondere la propria aggressività mediante l’adozione di comportamenti cordiali, con coloro che rimangono conquistati e manipolati, mentre esprimono chiaramente aggressività verso coloro che tentano di smascherarli o di esprimere dissenso nei loro confronti.

Sono leader capaci di manipolare le masse: spesso si servono della smentita, o del diniego come meccanismo di difesa, per creare confusione riguardo ai dati di realtà. Suggestionano, convincono ed ottengono il consenso del popolo, considerato massa di manovra. Fondamentale, prima di tutto, per questa strategia è condizionare i mass media oppure asservirli tramite il possesso diretto di essi. In ciò la Meloni, per la sua posizione, supera e schiaccia Salvini. In Italia è diventato oramai una caccia al tesoro trovare una TV, o radio o social che conservi ancora un po’ di obbiettività e onestà nell’informare. Siamo quasi al regime monopolistico della comunicazione. Ma non siamo i soli nel mondo.

L’altra faccia è più complessa e sotterranea: appoggiarsi, legittimare e promuovere quella cultura volgare, razzista, sprezzante, con enormi lacune storiche e culturali, fascista, squadrista, omofoba, violenta. Il problema non è solo ciò che scrive Vannacci ma è anche ciò che si scrive sui social (in essi, secondo Amnesty International, è in forte aumento la violenza dei messaggi), ciò che avviene nei raduni di gruppi vicini a FdI e alla Lega, ciò che succede nella maggior parte delle tifoserie calcistiche. Capisco che il calcio è “sacro” in questo Paese, ma comunque mi chiedo quanto di questa cultura attecchisce nelle cosiddette “curve”? Domanda da fare prima di tutto ai dirigenti calcistici e alle forze dell’ordine, come a genitori e insegnanti di questi giovani. Questa cultura volgare e arrogante tocca anche membri del Governo. Si pensi alle offese verso i migranti, gli italiani del sud, i poveri, la gente che vive nel disagio, i giovani che manifestano pacificamente o alle dichiarazioni farcite di ignoranza crassa: elementi che non si addicono affatto a chi detiene alte cariche istituzionali.

Un’ultima e sintetica osservazione è sulle riforme istituzionali in approvazione (Autonomia differenziata e “premierato”). Esse sono in stretta relazione con quanto finora affermato. La cultura decadente descritta si esprime anche in modelli politici e istituzionali. Lo spirito e la lettera della Costituzione sono in pericolo: è in atto un progressivo esautoramento del Parlamento, una tendenza plebiscitaria in tutte le elezioni e consultazioni dei corpi sociali, un preferire sempre più una persona “sola al comando”, l’uso di forme di “bavaglio” per istituzioni e persone che non la pensano come il Governo in carica.

La domanda finale è allora: il nostro Paese sta diventando neofascista? Quella attuale è una forma di dittatura? Diciamo che le dittature sono puzzle ben precisi e qui abbiamo solo tessere in aumento, che potrebbero formare il quadro di una precisa dittatura. Perché non accada dobbiamo mantenere molta vigilanza sulle derive neofasciste attuali. Ad oggi alcune derive si configurano come una dittatura morbida o un mostro mite (Tocqueville 1835; Simone 2008). L’Index of democracy 2023 (The Economist), non a caso, giudica l’Italia una flawed democracy, cioè difettosa, debole, viziata. In atri termini il nostro Paese conserva un’apparente e formale democrazia, ma tende a introdurre pesantemente forme di dispotismo populista, specie in termini di libertà di espressione, di controllo dei mass media, di gestione delle risorse pubbliche, di carenze in accoglienza e solidarietà verso gli ultimi, di amministrazione della giustizia, di libertà dei sistemi di controllo, di ruolo indipendente e sovrano del parlamento, di assetto bilanciato dei poteri. Questa democrazia, con la complicità dei corrotti e dell’ignoranza di molti cittadini, riesce a perpetrare quello che Aldo Moro chiamava l’”allettamento dell’assolutismo”, cioè il fascino ambiguo e pericoloso di un potere, che “promette di salvare e chiede di abbandonare nelle mani di pochi” la cura del bene dei singoli come dei gruppi (Moro 1946).

Rocco D’Ambrosio

[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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