La separazione dei poteri dello Stato, teorizzata per primo dall’illuminista Montesquieu, tra esecutivo, legislativo e giudiziario rappresenta la base istituzionale sulla quale, seppur con diverse declinazioni, sono fondate tutte le democrazie attuali. Governo e Parlamento sono e devono essere considerate entità a sé stanti, seppur strettamente collegate. Tale distinzione, per quanto importante, è frutto di un’estrema semplificazione del complesso quadro istituzionale previsto dalla Costituzione, caratterizzato da pesi e contrappesi volti a garantire un equilibrio della tenuta statale, oltre che la garanzia del mantenimento dell’ordine democratico.
Nella prassi appare generalmente riconosciuto il progressivo accentramento in capo al governo dell’iniziativa sulla maggior parte dei più importanti atti legislativi nazionali, attraverso la sistematica emanazione di Decreti-legge, spesso coadiuvati dalla strumentale apposizione della fiducia sulla conversione. Il potere del governo di emanare decreti-legge è previsto dall’articolo 77 della costituzione, essi sono atti aventi forza di legge, deliberati dal Consiglio dei ministri, ed in vigore dal momento della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Tali atti sono caratterizzati però da un duplice ordine di limiti: in primo luogo, la Costituzione prevede esplicitamente i requisiti di Urgenza, Necessità e Straordinarietà; in secondo luogo, i decreti-legge, affinché mantengano i propri effetti, è necessario vengano convertiti in legge dal Parlamento entro il termine di 60 giorni, in caso contrario gli effetti decadono retroattivamente.
In Italia si è assistito negli anni ad un esponenziale aumento della decretazione d’urgenza ex Articolo 77, limitando significativamente da un lato la dialettica parlamentare, dall’altro interpretando in modo molto estensivo i requisiti precedentemente indicati. L’uso, o meglio l’abuso, di tale strumento appare tanto chiaro quanto sistemico, indipendentemente dai colori dell’esecutivo di riferimento.
Nell’ultima decade i numeri sono progressivamente divenuti preoccupanti, causando problematiche sia dal punto di vista istituzionale, che sostanziale e procedurale. Da un punto di vista istituzionale si sono presentati episodi di decisa tensione causati da dubbi di costituzionalità sull’utilizzo della decretazione d’urgenza, talmente evidenti da determinare in alcuni casi il rifiuto da parte del Presidente della Repubblica di apporre la propria firma, impedendone l’entrata in vigore. Da un punto di vista sostanziale, l’utilizzo massivo dello strumento legislativo oggetto di analisi è spesso caratterizzato da una bassa qualità tecnico-politica. Infatti, sono molteplici gli esempi di decreti-legge aventi ad oggetto l’abrogazione di norme, divenute superflue, previste a loro volta in decreti-legge precedentemente convertiti, comportando un dispendio non indifferente di risorse pubbliche. Tale paradosso porta come conseguenza una progressiva lesione del principio di certezza del diritto, andando ad ingolfare talvolta sia i traffici economici che la macchina burocratica.
Inoltre, appaiono evidenti le problematiche procedurali, i calendari sia delle commissioni che dell’assemblea sono intasati di decreti-legge in pendenza di conversione. Trattandosi di atti aventi forza di legge composti da decine di articoli e centinaia di commi, un approfondito esame nel merito appare quantomeno difficoltoso, se non impossibile. Causando un notevole vulnus nella dialettica parlamentare prevista dalla Carta costituzionale. È indubbio che il funzionamento dei principali organi costituzionali sia spesso fortemente caratterizzato dalla prassi, intesa come razionalizzazione, talvolta integrativa, nell’applicazione concreta delle norme previste, ad esempio, dai regolamenti di ciascuna camera. Detto ciò, numerosi studiosi distinguono tra prassi fisiologica e prassi patologica, lo scenario finora descritto fa sicuramente parte della seconda tipologia.
Basti pensare che il governo in carica è quello che, su base mensile, ha approvato il maggior numero di decreti-legge (3.55 tra ottobre 2022 e settembre 2023), inoltre, nello stesso periodo, la conversione di essi costituisce la percentuale record del 55.7% di tutte le leggi approvate dal parlamento. In questo momento in Italia più di una legge su due sarebbe quindi “Urgente, Necessaria e per motivi straordinari”. In tal contesto si andrebbe ad inserire la discussa riforma costituzionale che andrebbe a modificare in modo sostanziale l’assetto istituzionale del Paese, tramite la diretta elezione del Capo del Governo da parte dei cittadini.
Nonostante l’introduzione del cosiddetto Premierato non andrebbe in alcun modo a modificare l’articolo 77 (in quanto la bozza della riforma prevede in particolare la riscrittura del Titolo III sul governo) è possibile proporre una riflessione sul rapporto tra elezione diretta del Presidente del Consiglio ed il massiccio utilizzo di decreti-legge. In punto di diritto le perplessità precedentemente esposte restano intatte, trattandosi di un’interpretazione talmente estensiva del dettato costituzionale da quasi svuotarlo di significato. Da un punto di vista di percezione di coerenza con l’eventuale nuovo impianto costituzionale è possibile rinvenire un lieve miglioramento. L’elezione diretta del presidente del consiglio, primus inter pares all’interno del Consiglio dei ministri, porterebbe sicuramente ad una percezione di maggiore legittimità dell’esecutivo nell’influenzare le dinamiche parlamentari, proprio in relazione all’assunzione di tale carica quale espressione diretta della volontà popolare.
In ogni caso la problematica esiste e le conseguenze si vedono, allargando la visione, passando dunque dal particolare al generale, sorge un interrogativo importante: possibile che l’utilizzo così imponente della decretazione d’urgenza sia una delle motivazioni per le quali in Italia vi sia la percezione di vivere in un perenne stato di emergenza? Ciò che è certo è che la mancanza di riforme strutturali, coadiuvate da scelte politiche coerenti, sia uno dei, se non il, più grande problema di questo paese. Decretare non vuol dire legiferare, rattoppare non vuol dire costruire.
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