Il 19 marzo 1994, chiesa di San Nicola, Casal di Principe, Caserta: don Diana viene ucciso da un killer di camorra. Sardo in questo romanzo profonde sì la sua esperienza giornalistica, ma si espone negli affetti per testimoniare come l’impegno civico per una società civile non sia un semplice ufficio, bensì strutturi la vita e si sostanzi dell’affettività di una persona o di un gruppo che costruisce senso di comunità e non appartenenza a “noi escludenti”, intorno a libertà, dignità, giustizia. La cornice di senso è una narrazione religiosa di un martirio consapevole, nella Resistenza alla camorra. Caratteristica apprezzabile è quella di rifuggire dalla retorica celebrativa che ne farebbe “un santino” come dice don Ciotti nella prefazione e che alimenta una religiosità del sacro, distogliendo dalla fatica di incarnare il Vangelo in un impervio qui e ora. Altri meglio di me possono commentare la vicenda storica che riguarda don Peppe e la dimensione della corruttela a vario titolo che gli ha tolto la vita. In merito è stata appena pubblicata la rigorosa ricostruzione storica del contesto sociale, politico e religioso, con le sue ombre e titubanze: Sergio Tanzarella, Don Peppino Diana. Un prete affamato di vita, 2024.
Su un’altra linea, come scrive il Vescovo Nogaro: “il testo di Sardo mette insieme giornalismo serio e squarci lirici” (7). Anzi, la scelta di usare in parallelo due registri evidenzia l’azione efficace di don Diana contro l’indifferentismo, piaga delle attuali democrazie, che immobilizza il popolo sovrano nella prigione autoreferenziale dell’individualismo o che spegne il dissenso con la rassegnazione. Di contro, il testo evidenzia la valenza del Bene Comune che si coltiva e si difende con quella tensione etica verso la pienezza dell’umano, impegno, rischio fino a dare la vita per ciò che la fonda e la coltiva. Tra queste pagine don Diana riacquista la sua fisionomia di uomo, di cittadino e di sacerdote. Non un eroe, ma un vero Resistente contro chi usurpa quotidianamente e con violenza diritti e libertà: vero riferimento di impegno sociale e politico, di cura del bene comune, e non solo spirituale. Non è necessario ricorrere ad Aristotele per ricordare che il sostrato antropologico, è strettamente legato alla dimensione politica che esprime; senza dimenticare che è anche vero l’inverso e che senza l’impegno di molti sarà difficile interrompere questa circolarità di morte. Da questa azione contro l’indifferentismo politico delle Autorità e non solo dei cittadini, riconosciuta a Diana, emergono altri interessanti spunti di riflessione. Con grande efficacia don Ciotti parla di un “don Diana inedito, in relazione”; infatti, tutto nel volume confluisce nel suo essere in Relazione: con i genitori in un paradiso latte e miele; con gli altri nella realtà concreta e politica di un territorio abbandonato a dinamiche illegali e violenza ancestrale. Sembra che, per focalizzare l’attenzione sull’aspetto Relazione, Sardo ci consegni l’incontro con Mamma Jolanda, la quale, simbolicamente, in Paradiso (117) diventa la Madre di tutte le vittime innocenti di camorra o del male originario come dice il
Vescovo Nogaro (131). Il tenero dialogo diventa anche l’espediente stilistico per ribadire, circa le infondate accuse infamanti, i nomi dei sostenitori leali ed esprimere francamente la delusione per il mancato sostegno del clero:” la chiesa di Aversa mi ha fatto soffrire” sono le
parole che pronuncia la madre (84/85). Accanto al dialogo con la Mamma, che potrebbe sembrare un’acritica celebrazione del materno, si trova uno spunto gravido di riflessione circa il materno negativo, custode della dimensione arcaica (148); e, quindi, sul potere corruttivo dell’amore materno, in grado di porre le basi per lo sviluppo di una personalità dedita alla corruzione e alla criminalità.
Oltre la distinzione ormai classica della filosofa politica A. Cavarero tra una ferita di morte e un vulnus di rinascita, radice di vulnerabilità, queste pagine raccontano di un vulnus di morte che ha fatto rifiorire la speranza e la vita. La vulnerabilità espone tutti al rischio di morte o alla sofferenza della rinascita. La generosità coraggiosa di un uomo aperto alla presenza piena dello Spirito si espone
nel corpo che è la sua vita. L’amore persiste nella madre che rende la ferita di morte vulnus di rinascita per cittadini e cittadine che lavorano al servizio della Giustizia. Un commento laico richiamerebbe la prospettiva filosofico-politica della cura, con la quale le filosofe femministe guardano al mondo per risanarlo; la cura come dono di sé (Pulcini, 2009) che nel caso di don Diana raggiunge il confine estremo. Questi gli elementi di una fede piena nel Dio Incarnato; questi gli elementi, che diversamente modulati, rendono forte una democrazia. Una dimensione umana agisce una partecipazione politica fatta di dissenso costruttivo (si pensi all’Appello del 1991) che costruisce relazioni, che difende la comunità con responsabilità, anche con paura, e che nel rischio estremo di morte si fa dono. In qualche modo come hanno fatto i Padri della Resistenza, magari non sostenuti dalla fede, ma certamente dalla tensione etica verso la difesa dell’umano. A don Peppe Diana dobbiamo essere grati tutti per il servizio civile, democratico con il quale ha perso la vita.
R. Sardo parla di data spartiacque: non tanto perché l’omicidio di don Diana abbia profanato lo spazio del Sacro, ma quanto profanazione dell’Autorità condivisa dalla comunità, soglia ancora invalicata tra l’ethos di vita e l’ethos di morte. Un’etica che non è solo costume come insegna Aristotele; ma un’etikè che è anche rifugio, riposo secondo l’etimo minore che E. Benveniste riconduce a ciò che protegge il sé; dimora, identità del profondo si può abbozzare. Profanazione del luogo che è sacro, dunque, perché ultimo baluardo del nostro essere umani. Valico della soglia labile che ancora tiene insieme uomini di vita, di amore e uomini di separatezza, di morte: ultimo rifugio per ognuno, oltre le scelte, oltre le prigioni di fuoco.
Cercasi un fine è “insieme” un periodico e un sito web dal 2005; un’associazione di promozione sociale, fondata nel 2008 (con attività che risalgono a partire dal 2002), iscritta al RUNTS e dotata di personalità giuridica. E’ anche una rete di scuole di formazione politica e un gruppo di accoglienza e formazione linguistica per cittadini stranieri, gruppo I CARE. A Cercasi un fine vi partecipano credenti cristiani e donne e uomini di diverse culture e religioni, accomunati dall’impegno per una società più giusta, pacifica e bella.