Bruxelles contro i colossi, di Andrea Avallone

L’avvento di internet ha comportato cambiamenti epocali, dapprima in termini di connettività e traffico di informazioni, per poi arrivare ad influenzare aspetti cruciali nelle società più sviluppate, dalle transazioni commerciali all’informazione, passando per espressione di idee, divulgazione scientifica e la costruzione di relazioni sociali. Tuttavia, ogni cambiamento implica dei rischi, ogni novità ha degli aspetti negativi. In questo ambito infatti cyber-criminalità, disinformazione, e illegittimo utilizzo di dati riservati rappresentano sfide quotidiane.

Per contrastare tali primarie problematiche la Commissione Europea ha proposto e portato all’approvazione nell’ottobre 2022 del regolamento UE 2022/2065, denominato Digital Service Act (DSA), entrato in vigore nel febbraio 2024. Questo è un corpus normativo senza precedenti per rendere l’ambiente online più sicuro e trasparente, con il conferimento di rilevanti poteri alla Commissione Europea al fine di combattere pratiche scorrette, utilizzo indebito di dati e diffusione di notizie false.
La nuova normativa impone l’adempimento di una serie di obblighi ulteriori a carico delle maggiori società operanti online, che la direttiva definisce ‘’molto grandi’’, indicando nello specifico le piattaforme e i motori di ricerca online che hanno un numero medio mensile di destinatari attivi del servizio nell’Unione pari o superiore a 45 milioni, in pratica tutte le maggiori Big Tech riconosciute a livello mondiale quali Meta, Alphabet, ByteDance.
Con l’entrata in vigore del DSA, la Commissione è divenuta titolare di penetranti poteri di vigilanza, coordinamento e sanzionatori. Risalta soprattutto la possibilità di irrogare pesanti sanzioni, nei casi previsti nel testo della direttiva, fino al 6% del fatturato mondiale annuo, per comprendere la portata di tale previsione basti pensare che, ad esempio, nel caso di violazioni da parte di Alphabet l’importo potrebbe arrivare ad ammontare ad oltre 4 miliardi e mezzo di dollari.
Detta regolamentazione è stata accolta dagli esperti del settore in modo decisamente positivo, sia dal punto di vista della tutela dei consumatori che della privacy, trattandosi delle misure più rigorose finora approvate a livello mondiale per contrastare la riconosciuta oligarchia dei maggiori prestatori di servizi online, caratterizzata da condotte opache ed arbitrarie. Ovviamente, essendo appena entrata in vigore, sono di difficile previsione le concrete modalità di attuazione della direttiva. Detto ciò, è possibile proporre riflessioni ulteriori su uno degli obiettivi principali del nuovo testo: il contrasto alla disinformazione.
Si è partiti dalla premessa secondo la quale ogni cambiamento ha un’altra faccia della medaglia, in questa rivoluzionaria riforma il punto più controverso è indubbiamente il rapporto tra il conferimento di poteri così intensi ad un’istituzione di natura essenzialmente politica, quale la Commissione Europea, e la necessità di combattere la disinformazione online.
Questo è l’aspetto maggiormente criticato e per alcuni potenzialmente lesivo della libertà di espressione, integrando una regolamentazione astrattamente idonea a conferire ad uno degli organi di vertice dell’Unione Europea notevoli margini di discrezionalità.
Su questa direttrice si va ad inserire la ‘’Dichiarazione di Westminster’’, sottoscritta da un significativo numero di accademici, attivisti ed altre figure note, tra le quali Julian Assange, il cui contenuto sottolinea le preoccupazioni appena esposte.
Tale corrente di pensiero, a dire il vero quasi isolata, allude strumentalmente ad una presunta vaghezza del testo della direttiva, sottintendendo di conseguenza la presenza di ampi spazi interpretativi, la cui esasperazione porterebbe potenzialmente a dinamiche dai tratti censori.
Tali voci, per quanto talvolta autorevoli, non tengono conto delle sostanziali divergenze tra le norme in oggetto e previsioni legislative fatte proprie da regimi non democratici, rese palesi da significative garanzie previste dal nuovo quadro normativo, tra i quali figura in particolare la possibilità di ricorrere alla Corte di Giustizia Europea contro un eventuale esercizio illegittimo dei poteri attribuiti alla Commissione.
In conclusione, nel Digital Service Act – coadiuvato dal Digital Market Act (DMA) – entrato in vigore nel novembre 2022, sono i due principali atti legislativi volti a delineare i tratti essenziali di una materia spesso non abbastanza regolamentata in proporzione all’importanza del ruolo che riveste per milioni di individui e aziende, nell’ambito della strategia intitolata ‘’Plasmare il futuro dell’Europa digitale’’.
In questo senso il DSA non è una soluzione definitiva, essendovi innumerevoli fattori che ne determineranno il successo o meno, tra i quali l’efficacia dei singoli Stati Membri nell’attuazione e implementazione dei contenuti, l’effettività della vigilanza attiva e il corretto esercizio dei poteri sanzionatori previsti.
La potenziale efficacia della normativa nel limitare il potere fino ad ora pressoché incontrastato delle grandi piattaforme, definite dal DMA, non casualmente, ‘’gatekeeper’’ o ‘’guardiani’’ dell’internet, è indirettamente dimostrata dalle ingenti risorse investite dalle Big Tech per contrastarne inutilmente l’approvazione.
Del resto, il lavoro di lobbying di tali colossi in passato è stato notevole ed efficace. Che non valga lo stesso per il futuro è auspicabile, forse anche possibile.

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