Come tradire l’idea europea di coesione, di Ennio Triggiani

Siamo proprio di fronte a una «arlecchinata», con tutto il rispetto per la famosa maschera bergamasca. La Riforma dell‘autonomia differenziata vuole scomporre il nostro Paese in una molteplicità di losanghe di vari colori non per evidenziarne il pluralismo culturale, che invece ne esprime la ricchezza, ma per accentuarne distanze e diversità. Tale «arlecchinata», infatti, smonta la consolidata unitarietà visiva del tricolore, simbolo dell’unità nazionale, in frammenti cromatici la cui ricomposizione rischia di divenire irreversibile.
Su queste pagine (basta ricordare i ripetuti interventi di Lino Patruno e di Onofrio Introna) da tempo si denuncia il gravissimo danno che tale Riforma produrrà inevitabilmente sul nostro già martoriato Sud, e di conseguenza (spesso lo si trascura) sull’intero Paese. A meno che il disegno consista nel porre le basi per una futura secessione. D’altronde, sono molteplici i dubbi di costituzionalità che il nuovo impianto legislativo suscita se solo si pone mente a norme quali l’art. 3 comma 2, per cui «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». La norma è diretta a promuovere l’eguaglianza non solo formale ma anche «sostanziale» nell’intero Stato. Ci muoviamo, invece, in direzione opposta.
Alla luce almeno di tale norma va letto l’art. 117 comma 2 lett. m, con cui lo Stato è impegnato, in via esclusiva, alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Essi costituiscono il parametro di riferimento nel quadro del principio di eguaglianza, esprimendo il carattere non frazionabile delle condizioni essenziali del nostro modello di democrazia costituzionale. L’essenzialità diviene, quindi, la misura dell’uguaglianza, della dignità e dei diritti della persona tra istanze solidaristiche ed esigenza di sviluppo uniforme su tutto il territorio nazionale (come ribadito nel successivo art. 119 comma 5).
Ben sappiamo che tali garanzie, finora, non sono mai state rispettate. In diabolica «coerenza», la «legge Calderoli», nella consapevolezza di non poter comunque eludere l’obbligo costituzionale, finge di recuperare i LEP (e tralasciamo gli importanti settori non compresi in essi) ma non ne prevede il finanziamento o lo rimanda agli indecifrabili tempi di Godot. Si tratta delle classiche nozze con i fichi secchi. Siamo così di fronte ad un attacco micidiale a quella solidale uniformità dei contenuti della cittadinanza di cui ogni Stato democratico ha il dovere di farsi carico.
Ma una riflessione dovrebbe essere svolta anche in rapporto alla palese «estraneità» della legge Calderoli riguardo alla nostra seconda cittadinanza, quella europea, e quindi alla collocazione nell’Unione con i conseguenti obblighi normativi ed economici. Fra questi è considerato prioritario il principio di «coesione». Nel Trattato «La coesione economica, sociale e territoriale e la solidarietà tra gli Stati membri» sono indicate tra gli obiettivi da promuovere (art. 3 par. 3 comma 3 TUE) e sono disciplinate dal Titolo XVIII (artt. 174-178 TFUE) al fine di «ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite». La coesione economica, sociale e territoriale, nell’apposito Protocollo n. 28, è considerata «di vitale importanza per il pieno sviluppo e il durevole successo dell’Unione».
Si tratta, cioè, di operare una riduzione dei divari strutturali tra le regioni «comunitarie» per uno sviluppo più equilibrato promuovendo allo stesso tempo le pari opportunità reali tra i cittadini; la «cittadinanza europea», quindi, si costruisce progressivamente rendendo i suoi titolari destinatari di benefici omogenei. Ed è la dimostrazione che la mera velocità della locomotiva del Nord (Europa) non è sufficiente da sola a trainare il Sud (Europa e cioè l’Italia intera) in assenza dei necessari interventi perequativi. Ciò vale, tanto più, nello scenario italiano.
Proprio per queste ragioni il primo debito comune europeo, il Next Generation EU, come è noto, ha destinato ingenti somme privilegiando il nostro Mezzogiorno prevedendo a suo favore, nel derivato PNRR italiano, un investimento pari al 40 per cento delle risorse territorializzabili (circa 82 miliardi).
In realtà, bisogna dare atto all’Unione europea di affrontare correttamente la realtà con un intelligente approccio tipico di una realtà federale, pur non essendolo (ancora). Risulta invece singolare che forze politiche sbandieranti a suo tempo la creazione di una Italia federale la smentiscano oggi così clamorosamente e iniquamente. Questa «arlecchinata» indebolirebbe gravemente l’Italia sotto ogni profilo. Non va dimenticato.

www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/editoriali/1478946/come-tradire-lidea-europea-di-coesione.html

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