Si chiama Stimulation Game, è un gioco semplice ma “ha dietro un pensiero che cambia il mondo”, come afferma il suo ideatore, il pediatra indiano Samir Chaudhuri che mi invita ad assistere a un game in un povero villaggio a sud di Calcutta. Due bastoni in mano a ciascuna delle persone sedute in circolo: i futuri genitori e nonni di un bimbo, e i capi del villaggio. L’animatrice chiede a ciascuno quale sia il suo compito, e a ogni risposta un bastone viene rivolto verso il centro, così da disegnare alla fine una ruota con i suoi raggi, un’immagine familiare agli indiani perché è il filatoio di Gandhi che compare anche sulla bandiera nazionale. Al centro della ruota l’animatrice pone un bambolotto: se ognuno fa la propria parte, il bambino sarà sostenuto dalla comunità e potrà crescere. Ma cosa accade se anche uno solo nel gruppo non fa quel che deve? Basta togliere un paio di bastoni e il bambolotto cade: il bambino muore. Ognuno capisce così di avere delle responsabilità a cui non si può sottrarre. Sarebbe un gioco formidabile anche per gli amministratori di un’azienda o i membri di una giunta comunale. Ma in quei poveri villaggi dell’India dove le donne e i bambini sono trascurati e malnutriti più di chiunque altro, è una questione di vita o di morte.
Samir, ora più che ottantenne, lo sa fin troppo bene. Negli anni Settanta, è stato tra i primi a capire che la causa principale di morte tra i poveri è la malnutrizione. Ed è stato Samir a individuare il protocollo dei 1000 giorni, poi adottato a livello internazionale dall’Organizzazione mondiale per la sanità: perché un bambino sviluppi le facoltà fisiche e mentali che gli consentano di affrontare il mondo, bisogna nutrire bene la mamma incinta e il bambino nei primi due anni di vita. E 50 anni fa esatti, Samir ha scelto di mettere queste conoscenze al servizio dei poveri facendosi povero lui stesso, e andando a vivere in un villaggio vicino Calcutta per stare costantemente accanto a chi soffre. Ora quel luogo è alla periferia della città, ma continua a essere la modesta sede della ong Cini (Children in Need Institute, cini-india.org) che lui ha fondato, e che conta 1500 operatori presenti con circa 100 progetti in 5 stati dell’India. Sarà semplice anche la festa per i 50 anni di Cini del 1 febbraio: un sentito grazie a un pioniere che ha costantemente cercato strumenti sempre più efficaci per spezzare la catena della povertà nel mondo.
Da 50 anni Samir insegna alle mamme come nutrirsi bene con poco, e quanto l’igiene sia importante. Usa messaggi chiari e semplici affidati a donne dei villaggi opportunamente formate: donne che aiutano altre donne e diventano motori di cambiamento. Perché è questo il nodo fondamentale che negli anni è diventato il “Metodo Cini”, ora riconosciuto e replicato nel mondo: andare oltre l’assistenzialismo per aiutare i poveri a prendere in mano il proprio destino e migliorarlo. Rendere tutti consapevoli dei diritti umani fondamentali – al cibo, alle cure mediche, all’istruzione, all’assistenza sociale, alla partecipazione – e in grado di rivendicarli. E far sì che le istituzioni ascoltino e facciano la loro parte. Puntando soprattutto sulle donne che sono le più oppresse e sui bambini che sono i più fragili, fornendo innanzitutto a loro gli strumenti per segnalare le criticità. I “children in need” sono diventati dunque “children with rights”.
E ora per aiutarli Cini può contare su un’organizzazione capillare e ferrea, grazie al piglio manageriale di Eliana Riggio, la moglie italiana di Samir. Eh sì, se oggi Cini continua a essere pioniera nel mondo è anche grazie alla sua anima italiana (e alla sua sede operativa in Italia, ciniitalia.org). E continua a operare nei villaggi ma anche nelle città, con progetti per il recupero dei bambini di strada (lanciati nel 1989, tra i primi in India) che provano a reinserire in famiglia e a scuola, e negli slum e tra chi vive in strada, affinché tutti abbiano una voce. “Siamo noi i primi a dover credere in noi stessi e rivendicare i nostri diritti. Abbiamo tutti il diritto ad avere la vita che vogliamo”. Mentre Samir parlava agli studenti di un doposcuola in uno slum, lo ascoltavano tutti in silenzio, affascinati. Poi d’improvviso hanno cominciato a raccontare i loro problemi, dalla fatica di lavorare e studiare (perché quasi tutti lavorano) al terrore del matrimonio precoce (“quando ci sposiamo, per noi è finita”). E hanno ringraziato Cini per aver aperto loro gli occhi. Alla festa del 1 febbraio io ci sarò: un omaggio a Samir per ciò che di unico ha costruito.
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