L’Aula del Senato ha approvato con 110 voti favorevoli, 64 contrari e 3 astenuti, il ddl per l’attuazione dell’autonomia differenziata. Il testo passa alla Camera per la seconda lettura. A favore hanno votato i gruppi di maggioranza, il gruppo per le Autonomie e la senatrice Mariastella Gelmini, in dissenso dai colleghi del gruppo di Azione che si sono invece astenuti. Contrari, infine, i senatori di Alleanza Verdi Sinistra, Italia viva, Movimento 5 stelle e Partito democratico. Ecco cosa cambierà quando il ddl diventerà legge.
Dai rapporti internazionali alla protezione civile, dall’energia alla tutela della salute, dalla ricerca scientifica all’ambiente e via elencando, senza dimenticare le casse di risparmio, gli aeroporti, la previdenza complementare o l’ambiente. Sono ben 20 le materie oggi di legislazione concorrente (cioè, di comune competenza di Stato centrale e Regioni) che in base al progetto di legge sull’autonomia differenziata potranno passare integralmente a carico gli enti regionali. Non solo. Anche altre tre materie oggi di competenza solo centrale – l’organizzazione della giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali – potrebbero essere decentrate se la riforma arriverà alla meta. Ecco, in sintesi, cosa c’è in ballo nel braccio di ferro in corso in Parlamento in merito alla legge Calderoli, storica “bandiera” della Lega. In sintesi una redistribuzione dei poteri, grazie a una diversa allocazione delle risorse pubbliche, da Roma verso quei territori che ne faranno richiesta.
Autonomia e fisco, cosa cambia
Il processo non è automatico: le Regioni potranno chiedere e concordare con il governo la “devoluzione” di competenze e risorse. L’autonomia differenziata prevede infatti la possibilità di trattenere parte del gettito fiscale generato sul territorio per il finanziamento dei servizi e delle funzioni di cui si chiede il trasferimento. Una sorta di regionalismo spinto e asimmetrico, a geometria variabile. E che divide il mondo politico e amministrativo a diversi livelli: c’è il Sud che teme di perdere altre opportunità, molti sindaci intimoriti da un nuovo centralismo su scala ridotta, l’eterna contrapposizione maggioranza-opposizione ma anche le diverse impostazioni dei partiti di governo. Con FdI che frena l’accelerazione della Lega e subordina l’ok all’autonomia al parallelo via libera al premierato.
Come si chiede l’autonomia
Il disegno di legge, come afferma l’articolo 1, punta a definire i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia (previste dall’articolo 116 della Costituzione), nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese tra lo Stato e le singole regioni interessate. Finora a rivendicare un maggiore protagonismo amministrativo sono state Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, non a caso forse le tre Regioni più ricche del Paese. Ma l’iter per ottenere l’autonomia non sarà semplice: prima c’è lo schema di base tra Stato-Regione, poi gli emendamenti di Conferenza unificata e commissioni parlamentari, a seguire l’approvazione del Consiglio regionale, infine un disegno di legge del Consiglio dei ministri che il Parlamento dovrà esaminare e votare.
Il nodo dei Lep
Un punto fondamentale della legge, voluto in particolare dai partner di maggioranza più sensibili all’unità nazionale, stabilisce che l’attribuzione di ulteriore autonomia alle Regioni, è consentita subordinatamente alla determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni previsti dalla Costituzione (Lep) e riguardanti tutte le Regioni del Paese. Dovrà quindi essere stabilito il livello minimo di servizi da rendere al cittadino in maniera uniforme in tutto il territorio, dalla Val d’Aosta alla Sicilia. Inoltre, per evitare squilibri economici fra le Regioni che aderiscono all’autonomia e quelle che non lo fanno, il disegno prevede misure perequative, cioè risorse aggiuntive anche per chi non chiede maggiore autonomia. La garanzia assicurata da Lep uguali per tutti sulla carta dovrebbe garantire l’uniformità dei servizi offerti ai cittadini da Nord a Sud. Ma nella pratica molto dipenderà dai finanziamenti che lo Stato centrale potrà mettere a disposizione per far convergere le prestazioni, oggi molto differenziate, verso lo stesso livello. Un tema di non facile soluzione e per molti versi antico quanto la nostra storia nazionale. È stata prevista allo scopo una Cabina di regia, nominata da una Commissione specifica per la definizione dei Lep guidata dall’ex presidente della Consulta Sabino Cassese e che ha avuto abbandoni eccellenti lungo il suo percorso. «Non si può pensare che da un giorno all’altro i Lep vengano assicurati – ha osservato lo stesso Cassese, che pure non è contrario alla legge – perché per assicurarli occorre che siano accompagnati da cifre. Occorre prevedere un quadro pluriennale così che quelle risorse vadano a colmare le lacune riscontrate».
Più responsabilità o fine della solidarietà?
I sostenitori dell’autonomia differenziata sostengono che la maggiore responsabilizzazione delle Regioni possa spingere tutti verso un supplemento di efficienza. Mentre i contrari temono che la devoluzione partendo senza che la convergenza dei livelli dei servizi sia stata sanata, finirà per accentuare le già evidenti disparità sociali e territoriali del Paese.
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