Nel Fedro di Platone, Socrate si paragona a Tifone, un mostro dalle cento teste che parlano lingue diverse. L’immagine è strana solo in apparenza, a pensarci bene. Descrive noi contemporanei, bombardati da informazioni, notizie, discorsi, senza più filtri capaci di mettere ordine a questa massa di «voci» discordanti. Crediamo di vivere nell’epoca dell’informazione, ma finiamo per brancolare nell’ignoranza, incapaci di riconoscere le parole autentiche.
Era un problema già al tempo di Platone, figuriamoci oggi nell’età dell’intelligenza artificiale e delle fake news, in cui tutti sostengono tutto e i fatti diventano sfuggenti. E non si tratta peraltro di ignoranza soltanto. Queste «voci» influenzano il modo in cui noi vediamo la realtà, le priorità delle nostre scelte, il sistema di valori su cui fondiamo le nostre vite. Ci costruiscono.
Come orientarsi in tanta confusione? Platone, che aveva individuato il problema, sapeva anche di non poterlo risolvere. Dove tutti parlano, urlano, proclamano le proprie verità con sicumera incrollabile (perché sono sempre gli altri che sbagliano), cosa si può fare? Ha senso proclamare la nostra verità? Non molto. Aggiungeremmo un’altra voce alle mille che già rintronano nelle orecchie, nostre e degli altri. E perché dovremmo credere a questa voce e non alle altre? Forse davvero non si può fare nulla. E allora rimane solo un’alternativa radicale: l’unica è sforzarsi di tacere, tenersi fuori dalla baraonda, evitare per quanto possibile di aumentare il rumore di fondo. Tutto qui?
In effetti, non sembra una soluzione molto convincente per chi è animato dalle migliori intenzioni e vorrebbe davvero contribuire a migliorare una situazione sempre più in bilico. Ma si tratta anche di intendersi su cosa questo silenzio implichi. Di certo non può essere il disinteresse di chi si chiama fuori, perché siamo tutti imbarcati, come diceva Pascal, e non possiamo certo illuderci di poter fare parte a noi stessi. Forse il silenzio è quello di chi prova a seguire altre strade, cercando di mostrare alternative possibili con il suo comportamento pratico.
Come quei saggi che continuano imperterriti a concentrarsi sui loro piccoli gesti mentre intorno tutti sono scalmanati, e piano piano riescono a calmare anche gli animi più esagitati. Non è facile, anzi è veramente difficile. Ma non è impossibile e ci aiuterebbe a rivelare l’inconsistenza di un altro dei problemi che affliggono il nostro mondo — il mondo delle emergenze continue, per cui bisogna sempre agire, prendere posizione, schierarsi. Urlare perché non c’è più tempo. Davvero? E se anche fosse, cosa si risolverebbe urlando e chiamando alle armi? Viviamo in un’epoca di grandi passioni, quasi mai positive. Prima o poi si tratterà di tirare un bel respiro, darsi una calmata e iniziare a ragionare. Speriamo che quel tempo arrivi presto.
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