SENTIMENTAL….,DI DONATELLA A. REGA

…..questa notte infinita! Una canzone di Wanda Osiris esordiva così.

Noi siamo sì, in una notte infinita, ma tutt’altro che sentimental. Ci emozioniamo prevalentemente solo quando a casa ci arriva un pacco che abbiamo ordinato online e, quindi, siamo convinti che l’emozione o il sentimento in noi possano nascere solo quando un oggetto (o forse anche una persona?)  diventano nostri. Abbiamo bisogno di qualcosa di nuovo per sapere che esistiamo, che qualcuno si occupa di noi (magari noi stessi perché il regalo ce lo siamo fatto da soli).

Nella Bibbia, insieme di libri su cui potremmo parlare per giorni e giorni (Michela Murgia era una biblista e se non lo avessi scoperto tardi le avrei chiesto cosa ne pensasse), ad un certo punto (Is.43,19) leggiamo: “Ecco io faccio una cosa nuova, proprio ora sta germogliando, non ve ne accorgete? Aprirò una strada nel deserto, farò scorrere fiumi nella steppa”.

Una cosa nuova. Questo ci emoziona. Qualcosa che può germogliare mentre non ce ne accorgiamo.

Ma se non ci accontentiamo di una prospettiva, o non crediamo più in una prospettiva, in un amore infinito e silenzioso che ci accudisce fino ad aprire strade nel deserto, allora ci dobbiamo pensare noi. Ma poveri come siamo di pensieri positivi potremmo rischiare di cercare cose nuove nel posto sbagliato, nel modo sbagliato, come fanno le soldatesse israeliane che si vantano, orgogliose, di quanti palestinesi hanno ucciso; come ha fatto il ragazzo che a Praga ha fatto una strage, come fanno gli assassini quotidiani delle innumerevoli Giulie quotidiane.

Fare una cosa nuova, magari negativa, per sentirsi vivi, per vedere se si provano ancora emozioni, per vedere se si è in grado di soffrire, di provare pietà.

Ma quando siamo sulla strada sbagliata, e lo sappiamo in fondo che è sbagliata, anche se siamo confusi, bisognerebbe accorgerci che  nel nostro “videogioco” siamo arrivati al Game Over e, senza aspettare che ricominci,  dobbiamo fermarci. Infliggere ferite, infliggere la morte a se stessi ed agli altri è un modo estremo per tentare di capire se la nostra esistenza ha un senso. Lo scopriremo troppo tardi, però.

Una signora che abitava nel quartiere San Paolo, tanti anni fa, la mamma di uno studente della scuola in cui ero medico scolastico, mi rivelò spaventata che suo figlio le aveva confessato di aver provato attrazione verso l’eroina, il giorno che, alla fontana sotto casa aveva incontrato un tossicodipendente che sciacquava la siringa sotto l’acqua con un’espressione inebriata di piacere.

“Fatt’ nu panin a la mortadella, figghie mì, sind a mmè! (‘nge so ditte)!” mi disse, ma mi guardava con gli occhi sgranati dalla paura.

La mia risposta accorta, visto che certe cose le avevo studiate apposta per fare il mio mestiere fu: “Signora, con suo figlio lei è presente? È una mamma che “rompe le scatole”? È una mamma che lo rimprovera quando sbaglia e che lo segue in quello che fa? È una mamma che gli dà una carezza alla sera e lo abbraccia tutte le volte che può?”, alla sua risposta affermativa la tranquillizzai.

Essere presenti. Un genitore negativo è meglio di un genitore “assente” che si interessa solo di se stesso e dei propri impegni.

La desolazione, la solitudine, la mancanza di attenzione o di attenzioni, ci impongono di cercare una cosa nuova ma abbiamo riferimenti per cercarla nel posto giusto e nel modo giusto? Abbiamo avuto almeno in passato un amore paterno o materno, non importa chi ce lo abbia donato, che ci abbiano fatto capire dove cercare?

Tante volte no. Abbiamo avuto solo figure egoiste come riferimento, incentrate su se stesse. Probabilmente sofferenti a loro volta.

Leggevo in questi giorni alcuni pensieri di Romano Guardini sul Natale ed il Capodanno. Per credere bisogna fare un salto di qualità, entrare in una dimensione altra, che ti fa vedere la vita in un contesto che ha senso dal primo all’ultimo respiro ed oltre.

Quella luce che noi abbiniamo al bene, che Guardini vede nel cristianesimo non frainteso (e perché no?), quella forza che noi riconosciamo nell’amore ed all’amore di poter trasformare le cose, quella meraviglia, aggiungo io, che ci prende guardando in silenzio un cielo stellato, se ancora ne siamo capaci, ci parlano da sole, ci confermano da sole che siamo più di un semplice agglomerato di cellule ed atomi fatti della stessa materia dell’universo. Quel qualcosa o quel tanto in più possono renderci di nuovo umani. Dobbiamo accorgercene. Ma dobbiamo fare presto.

medico, vicepresidente CuF

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