I care: tutto può convivere, di Capriulo Maddalena

E’ già in distribuzione il cartaceo del n. 132 di Cercasi un fine, sul tema della autonomia differenziata. Vi segnaliamo che, con questo numero, inauguriamo due nuove rubriche:
– la pag. 10 che sarà sempre dedicata al tema delle migrazioni, in questo numero con un articolo di una nostra studentessa albanese e della nostra volontaria Maddalena Capriulo, il cui testo completo dell’articolo lo potete leggere qui di seguito.
– la pag. 11, invece, è dedicata alla formazione politica. Ospiteremo sempre il parere di un corsista e quello di un docente delle nostre scuole di politica.
Buona lettura.

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Ogni giorno in televisione vediamo immagini di essere umani che sbarcano nel nostro Paese, nonostante una infinità di difficoltà e discussioni. Troppo spesso vediamo barche di stranieri abbandonate in mare in condizioni disumane. Le immagini di quella povera gente mi hanno sempre angosciata e sentivo la necessità di poter fare qualcosa di concreto per loro. Un giorno, scorrendo facebook, ho letto che un’associazione del mio paese, Cercasi un fine, cercava volontari disposti ad insegnare la lingua italiana agli stranieri. Così, quasi per caso, ho iniziato questa nuova esperienza. I ragazzi che frequentano l’associazione provengono da vari Paesi come l’India, il Marocco, il Mali, il Venezuela, il Pakistan, la Nigeria ed in comune hanno tutti gli stessi occhi spaesati e spaventati. Ogni volontario segue uno o due stranieri e cerca di aiutarli in tutto: dalla ricerca di una casa dove vivere, al lavoro, all’aiuto nello sbrigare pratiche burocratiche per permettere loro di iscrivere i figli a scuola, o di avere un medico a cui rivolgersi per curare un problema di salute. L’approccio a questa esperienza per me è stato intenso, ho scoperto un mondo nuovo, culture completamente diverse con cui confrontarmi e da cui imparare, ho scoperto un nuovo modo di pregare, di cucinare, di pensare. Nello stesso tempo ho cercato di trasmettere loro le nostre tradizioni, il nostro pensiero, il nostro mondo. Ho maturato la meravigliosa certezza che tutto può convivere arricchendoci reciprocamente. Ho ammirato la capacità di condivisione che molti popoli hanno del poco che possiedono, la capacità di non arrendersi, di vivere con veramente poco pur conservando orgoglio e dignità. Vivere in una cittadina come la nostra non è facile, si incontrano infinite difficoltà: dalla diffidenza all’emarginazione, dagli approfittatori che affittano a prezzi insostenibili “case” umide e fredde (che son poco più di garage), alla difficoltà di trovare lavoro – anche il più umile -, fino alla difficoltà di approccio dei loro figli alle nostre scuole. Trovo quest’ultimo un problema primario per il processo di integrazione che puntiamo a supportare. Bambini nati qui o arrivati da piccolissimi, non solo non hanno la cittadinanza – con tutte le conseguenze che questo comporta – ma crescono in un ambiente dove si parla solo la loro lingua di origine e a scuola non hanno supporto o agevolazioni di alcun tipo. I bambini vivono la scuola da emarginati. Il territorio non offre loro nessun tipo di sostegno. A quei piccoli neghiamo un’infanzia serena e la possibilità di crescere in un paese che li faccia sentire accolti. Nella mia stessa comunità ho scoperto contesti razzisti e con molti pregiudizi. Ho sentito di famiglie che non permettono ai propri figli di giocare a casa di stranieri; ho sentito di genitori che consigliano ai loro figli di non sedersi a scuola allo stesso banco con gli stranieri; ho sentito di bambini che fanno bullismo sugli stranieri già dalla scuola primaria; tanti piccoli esempi che non mi fanno sperare neanche nelle generazioni future. Quanto alla nostra generazione, non racconto niente di nuovo se riferisco di aver sentito di immigrati malpagati e maltrattati dai loro datori di lavoro; di uomini che quando si sono rivolti al datore di lavoro per chiedere un giusto e dignitoso compenso hanno rimediato solo disprezzo: “Se volessi pagare il giusto, assumerei un italiano”. Ho sentito di donne a cui viene negato il riconoscimento delle effettive ore di lavoro; ho addirittura sentito di stranieri malmenati dal datore di lavoro per aver preteso un trattamento rispettoso. Mi piace pensare che imparare la lingua italiana, grazie alla nostra azione di volontariato, possa servire a integrarsi, a trovare lavoro, a rendersi autonomi per le faccende più pratiche, ma anche a venir fuori da questi contesti di violenza e prevaricazione che non sono mai così distanti da noi. Per fortuna ci sono anche persone per bene e ritengo giusto parlarne, sia perché i nostri ragazzi tessono le loro lodi ogni giorno, sia perché è arrivata l’ora che si faccia rete e si faccia sentire la maggioranza silenziosa di persone giuste. La lezione che questa meravigliosa e dura esperienza mi lascia ogni giorno e che sento il dovere civico di condividere, è di non aver paura di ciò che non si conosce, di non farsi influenzare da chi diffonde odio e divisione. Il volontariato mi ha aiutata molto a superare qualsiasi diffidenza, a non cadere nella trappola dell’imbarbarimento a fini elettorali. Il volontariato mi ha ricordato che essere cittadini del mondo non vuol dire perdere la propria identità ma conoscerne altre, imparare ad apprezzarle, a condividerle o meno, a mangiare più speziato e a vestire più colorato

[impiegata, volontaria Cuf, Cassano, Bari]

PRESENTANDOCI

Cercasi un fine è “insieme” un periodico e un sito web dal 2005; un’associazione di promozione sociale, fondata nel 2008 (con attività che risalgono a partire dal 2002), iscritta al RUNTS e dotata di personalità giuridica. E’ anche una rete di scuole di formazione politica e un gruppo di accoglienza e formazione linguistica per cittadini stranieri, gruppo I CARE. A Cercasi un fine vi partecipano credenti cristiani e donne e uomini di diverse culture e religioni, accomunati dall’impegno per una società più giusta, pacifica e bella.


 

 

SORRIDENDO

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