Gli interventi legislativi sulla scuola degli ultimi decenni, voluti da governi sia di centro-sinistra sia di centro-destra con una singolare unità di intenti, stanno progressivamente modificando la scuola italiana in nome di presunte esigenze economiche, gestionali, pedagogiche, strategiche, securitarie, militari ecc. A ben vedere queste iniziative e queste riforme cozzano con i principi dettati dalla Costituzione per quanto riguarda l’uguaglianza e gli ostacoli di ordine economico e sociale che la limitano (art. 3), la pace e la risoluzione dei conflitti internazionali (art 11), la libertà di opinione (art. 21), la libertà di insegnamento (art. 33).
Da una trentina di anni la scuola è stata chiamata a far fronte a gravi, irrisolti squilibri economici che, a ben vedere, non competono all’istruzione pubblica la quale, secondo la Costituzione, deve essere rivolta alla formazione della consapevolezza critica e pluralistica della cittadinanza. Assistiamo cioè di volta in volta all’insinuarsi dall’alto di condizionamenti sulla didattica con il chiaro scopo di incidere sulla vita civile e sulle libertà costituzionali. In nome di una presunta “cultura di impresa”, la scuola viene resa funzionale alle esigenze di un mondo del lavoro che non brilla certo per giustizia sociale, con una lenta deriva dallo spirito dei principi costituzionali. Non solo, in nome di una “cultura della sicurezza” e una “cultura della difesa”, la scuola viene resa funzionale alle esigenze delle forze armate e dell’industria bellica.
Interventi interministeriali ben concertati, nella forma di protocolli di intesa, insistono sull’idea di “cultura della sicurezza” e di “cultura della difesa” di cui la scuola dovrebbe farsi promotrice. In pratica questa “promozione” avviene nelle forme di attività scolastiche o parascolastiche contro il bullismo, per la legalità, per l’orientamento e di alternanza scuola-lavoro. La riforma scolastica cosiddetta Buona Scuola (Legge n. 107 del 13 luglio 2015) ha istituzionalizzato, tra l’altro, un numero abnorme di ore di alternanza scuola-lavoro (poi ridimensionato, ma ancora troppo alto, negli attuali PCTO). Soprattutto all’interno dei PCTO e del cosiddetto “orientamento” (cioè tutte quelle attività informative rivolte a studenti e studentesse per la scelta della loro carriera di studi secondari e universitari o per l’immissione nel mondo del lavoro – attività che inizia nella scuola media inferiore) si è dato corso alla direttiva sulla “cultura della difesa”.
In tutto questo, i soldi pubblici vengono profusi in impianti militari e armi, come documenta più di un intervento di questo secondo volume, e negati a settori come Istruzione e Sanità, settori in cui le linee economiche nazionali auspicano il massiccio intervento privato. Il grosso problema che non si vuole considerare è che così la scuola pubblica è costretta a diventare funzionale alle esigenze delle aziende che la sponsorizzano. La scuola finanziata da un’azienda orienta i suoi percorsi di studio a favore degli interessi dello sponsor, compromettendo il principio di libertà di insegnamento. Consideriamo l’esempio del nuovo Liceo digitale: l’azienda finanziatrice è Leonardo SpA, la maggiore produttrice italiana di armamenti. I progetti sono concepiti da Leonardo (es. “Robotica e Droni in classe”); i tutor di Leonardo formano i docenti; gli studenti sono il bacino da cui Leonardo rinnoverà il suo personale. E l’aspetto più drammatico è che l’industria bellica viene vissuta come settore all’avanguardia, non come produttrice di strumenti di morte.
Ma il problema di fondo è ancora un altro. Se pensiamo a una scuola che funzioni, a lezioni ricche e coinvolgenti per i discenti e appaganti per il docente, è più chiaro che cos’è nello specifico l’insegnamento: l’insegnamento è un’arte “dal vivo” (un po’ come il teatro).
La scuola è prossimità, un ritrovarsi dei corpi, delle concentrazioni simultanee, della scoperta che avviene davanti agli occhi di tutto un gruppo. La scuola deve essere, dunque, un modo per creare l’occasione dell’attenzione, un modo per farsi portatori e comunicatori di un certo sapere, modulando i momenti di dialogo con i discenti, giorno per giorno, ogni lezione è un accadimento sempre diverso, spesso inaspettato, sempre con esiti programmabili, ma non prevedibili.
La scuola deve diventare uno spazio in cui seminare frutti che solo in parte sono visibili alla fine di un ciclo di studi, dal momento che i ragazzi e le ragazze sono frutti che maturano anche dopo anni[1].
La “persona” del docente è centrale non solo in quanto è colui o colei che insegna, ma soprattutto perché è una persona adulta che trasmette con la sua presenza e attenzione la disciplina che sa, e in questo ruolo di “modello adulto” è figura essenziale per un bambino o un giovane.
Non per niente il processo formativo di un individuo è fatto di “genitori” e di “maestri”. Spesso si invoca (o si piange) la centralità della funzione genitoriale, ma la funzione dei maestri appare programmaticamente abolita: non più maestri, ma facilitatori, tutor, coach, figure che mettono in pratica protocolli già stabiliti altrove. E tutto questo a danno dei giovani.
La volontà di opporre un fermo “no” alla logiche della violenza e all’economia di guerra da parte dei relatori e delle relatrici dei Convegni CESP (Centro Studi per la Scuola Pubblica) svoltisi in tutta Italia ha visto una incredibile partecipazione anche nel lasciare traccia scritta dei loro contributi. Da questi convegni CESP nasce anche l’idea di lanciare un Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole, con l’obiettivo di permettere al personale docente di condividere pratiche didattiche di pace e al personale scolastico tutto, e a chiunque abbia a cuore la questione, di segnalare e impedire ogni ingerenza da parte dei militari nella quotidiana attività didattica, nei PCTO e nella vita delle scuole.
Indice
Narrazioni belliciste
15 L’informazione e la comunicazione in tempo di guerra
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
25 Disarmiamoci. Riarmo, narrazione della guerra e importanza dell’educazione alla pace
ROSA SICILIANO
41 Crisi ucraina: solo la mobilitazione popolare può fermare la guerra
ANDREA VENTO
67 Guerra e diritto internazionale. Evoluzione del ruolo della NATO
UGO GIANNANGELI
81 Guerra sul campo, guerra finanziaria e conflitti senza fine
SILVANO CACCIARI
Militarismo
97 Scuola e Ricerca: la retorica della pace e la presenza dei militari
ANTONIO MAZZEO
113 Scuole armate. Fabbriche di morte e basi NATO per gli studenti di mezza Italia
ANTONIO MAZZEO
153 Il Golfo ai poeti. No Basi Blu
WILLIAM DOMENICHINI
171 Demilitarizzare il territorio e promuovere una cultura di pace nell’esperienza del Movimento no base né a Coltano né altrove
FAUSTO PASCALI
181 Appunti sull’occupazione militare in Sardegna: origine e sviluppi recenti
MASSIMO CORADDU
([1]) Ci permettiamo di rinviare sul tema della scuola pubblica a M. Lucivero, A. Petracca, Scuola pubblica e società (in)civile. Cronache lapidarie dei tempi pandemici, Aracne, Roma 2022.