Hegel, filosofo della tradizione e del riconoscimento, di Vittorio Pelligra

Nella prospettiva liberale che da John Locke passa per John Stuart Mill e arriva fino a Immanuel Kant, la società giusta è quella società che si da un ordine politico capace di garantire la compatibilità delle libertà individuali. Ogni cittadino può esercitare la sua libertà nelle forme che ritiene più opportune tranne quelle che implicano uno sconfinamento nello spazio delle libertà di qualcun altro. Il corpus normativo deve dunque concorrere alla creazione di un equilibrio nel quale viene massimizzato contemporaneamente lo spazio delle libertà di ciascun cittadino sotto il vincolo della reciproca compatibilità di tali libertà. Questa concezione, come abbiamo visto nelle settimane scorse, raggiunge la sua forma più pura con l’opera di Kant per il quale giustizia e diritto, in questo senso, vanno in definitiva a coincidere.
La critica a Kant su giustizia e diritto
La prima e più radicale critica di tale concezione è rappresentata dall’opera di un altro tedesco, Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Per Hegel l’idea kantiana di libertà non è sbagliata, semplicemente è così astratta, formale e intellettualistica da essere, di fatto, totalmente vuota. La posizione espressa da Hegel rappresenta una rottura fondamentale con il modo di pensare la giustizia, l’individuo e la società, che si era sviluppata con una certa continuità fino ad allora. L’oggetto principale della sua critica alla prospettiva kantiana è il suo atomismo. Come abbiamo visto per Kant le libertà individuali rappresentano lo spazio di azione del singolo e contemporaneamente il suo confine, il limite che tiene ogni individuo separato e protetto dall’altro e, quindi, sostiene Hegel isolato dalla totalità dell’esperienza sociale e politica. Hegel nega l’isolazionismo kantiano affermando che, al contrario, la libertà del singolo e la sua vita, più in generale, trovano senso proprio nel superamento di tale confine interpersonale e nell’immersione nel sociale, perché “Il vero è l’intero”, sostiene il filosofo. In altri termini noi nasciamo e viviamo totalmente inseriti nella relazione con gli altri ed è proprio in tale intrico di relazioni che la nostra vita sviluppa il suo significato. La dimensione sociale acquista importanza, in particolare, in relazione a due aspetti essenziali della vita: innanzitutto, a causa della dipendenza dagli altri per quanto riguarda la possibilità di soddisfare le nostre necessità biologiche, sociali e culturali. In secondo luogo, perché è nell’ambito delle relazioni sociali che le nostre capacità tipicamente umane – il pensiero, il linguaggio e la ragione – si sviluppano.
L’eticità di Hegel
È in questo contesto di relazionalità dove le esistenze singole vengono disatomizzate che la libertà perde il suo carattere di astrattezza. Questo luogo della relazione nel quale l’incontro con l’altro assume le forme concrete delle tradizioni, delle norme, delle consuetudini e delle istituzioni è ciò che Hegel indica con il termine Sittlichkeit, (eticità). La famiglia, la società civile e infine lo Stato rappresentano gli stadi successivi o, meglio, i cerchi concentrici, dell’esperienza della vita etica. È naturale quindi che l’idea di giustizia, in questo contesto, non possa essere pensata né come il portato di una volontà superiore esterna, gli dèi della Grecia o il Dio della Bibbia, né come il frutto di un sistema universalistico di norme razionali, astratte e impersonali. Essa diventa il portato di una storia in cui i singoli evolvono nell’interazione con le istituzioni che hanno ereditato e che attraverso la loro vita contribuiscono a loro volta a trasformare. Quindi per Hegel, la società giusta è quella che già esiste e che contribuiamo a modellare, in un movimento continuo, attraverso le nostre vite. Il compito della filosofia, dunque, non sarà tanto quello di immaginare un nuovo mondo perfetto, ma quello di ri-conciliarci con il mondo esistente. Il termine Versöhnung, “conciliare”, appunto è un termine cruciale, in questo senso, in quanto esprime l’idea portante di tutta la filosofia hegeliana (Hardimon, M. Hegel’s Social Philosophy: The Project of Reconciliation, Cambridge University Press, Cambridge 1994). In ambito politico, in particolare, la “conciliazione” è quello sforzo che richiede il riconoscimento della realtà esistente come il luogo più appropriato alla manifestazione della nostra libertà. Questa forma di conciliazione non implica rassegnazione o abbandono nei confronti dello status quo. Essa implica, piuttosto, il riconoscimento del fatto che il nostro mondo sociale con le sue istituzioni è ciò che sta alla base della possibilità di maturazione della nostra dignità e della nostra libertà.
Questo ri-conoscimento avviene attraverso il processo di riconduzione del reale al razionale, cioè al ragionevolmente comprensibile (Vernünftig). “Quando comprendiamo – scrive John Rawls nelle Lezioni di storia della filosofia morale – che il nostro mondo sociale esprime la nostra libertà e ci consente di realizzarla nella nostra vita quotidiana, ci conciliamo con esso. Aiutandoci a fare questo, la filosofia è ben di più di un esercizio meramente accademico. Ci dice qualcosa su di noi; ci mostra la libertà della nostra volontà – che la possediamo attraverso le istituzioni e non in altri modi”.
Il compito della filosofia politica
La nostra libertà sarà pienamente effettiva, afferma Hegel, quando capiremo come e perché essa si esprime nello stato in cui già viviamo e nelle sue istituzioni politiche e sociali. Il compito della filosofia politica è proprio quello di aiutarci a capire questo. Non dobbiamo guardare, continua Rawls “ad un mondo che dovrebbe essere e che come tale sta al di là del [nostro] mondo (come Hegel pensa abbia fatto la filosofia di Kant), ma a un mondo che è davanti ai [nostri] occhi e che realizza la [nostra] libertà”. Questa prospettiva è radicalmente differente da quella kantiana, ma anche da quella dello stesso Rawls, che infatti rimane profondamente ancorato alla concezione contrattualista. Hegel in questo senso anticipa l’approccio di Marx, quello dei filosofi comunitaristi e, per alcuni versi, anche quello più recente di Amartya Sen. 
Ma quindi perché accettare il mondo così com’è invece di sognarne uno migliore? Perché la “conciliazione” non è “rassegnazione” risponde Hegel. Conciliarsi non significa credere illusoriamente che tutto vada per il meglio e che non ci siano alternative migliori. Ed infatti egli stesso analizza esplicitamente alcuni temi, come la povertà e la guerra, manifestazione concrete dell’accidentalità negativa della società contemporanea. E purtuttavia, continua Hegel, coltivare sogni e utopie è ingenuo e folle. I mondi perfetti non esistono e non potranno esistere. Leggiamo nella prefazione dei Lineamenti di filosofia del diritto (1820) “Conoscere la ragione come la rosa nella croce (qui il riferimento è a Lutero, n.d.a.) del presente e in tal modo godere di questo, questa intellezione razionale è la conciliazione con la realtà, che la filosofia procura a coloro, nei quali una volta è affiorata l’interna esigenza di comprendere, e altrettanto di mantenere in ciò che è sostanziale la libertà soggettiva, così come di stare con la libertà soggettiva non in un qualcosa di particolare e accidentale, bensì in ciò che è in sé e per sé”.
L’esercizio della libertà come premessa per la felicità
Il compito della filosofia politica, dunque, della teoria del diritto è quello di consentire tale conciliazione, la comprensione profonda delle condizioni presenti attraverso le quali l’individuo può esercitare appieno la propria libertà. Non raggiungere con certezza la felicità, ché quella risente degli accidenti e della sfortuna, ma almeno porre le condizioni necessarie, se pur non sufficienti, per il perseguimento della felicità. Condizioni che coincidono con l’esercizio della libertà. E tale esercizio, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, non avviene nel vuoto. Non comincia da zero, per così dire. Accade in una storia che è collettiva prima ancora che individuale. Una storia che diventa collettiva perché è anche individuale. Questa è l’idea centrale della Sittlichkeit, dell’eticità, come la chiama Hegel. La nostra storia individuale che si inserisce e continua una eredità che abbiamo ricevuto che si è accumulata nel tempo e che definisce un determinato modo di vivere, di agire e qualifica la nostra identità.
La storia che ereditiamo è il “luogo” nel quale cresciamo, ci formiamo, diventiamo ciò che siamo, sviluppiamo desideri ed esercitiamo la nostra libertà. Ed è una storia individuale e collettiva insieme, una storia che si va facendo attraverso il contributo originale di ciascuno dei suoi protagonisti. È una storia che ci fa e, al contempo, una storia che facciamo, attraverso la quale scopriamo e, contemporaneamente, costruiamo il senso della nostra esistenza. “Tutti noi – scrive a questo riguardo Shannon Hoff – in qualche modo ci troviamo in una tradizione di qualche tipo; abitiamo un modo di vivere che porta dentro di sé le tracce della sua storia. Queste tracce si trovano nel modo in cui le persone pensano, agiscono e sentono, nel modo in cui sono organizzate le nostre istituzioni, imprese e governi (…) Il mondo immediato è fortemente mediato da questa storia (…) Agiamo dentro e attraverso un’eredità; la nostra azione è sempre espressiva e riflettente di questa “vita etica”. Ma se non fosse per la nostra azione come individui – continua la Hoff – lo stile di vita ereditato non esisterebbe.
Chi eredita, cioè, deve mettere in atto quell’eredità per sostenerla come una cosa reale di fronte alle nuove esigenze e situazioni” (The Laws of the Spirit: A Hegelian Theory of Justice. Sunny Press, 2014). Ciò significa che lo Sittlichkeit ci determina ed è, al contempo, determinato dalle nostre scelte. Benché infatti l’eredita ricevuta condizioni le nostre vite questo non implica la necessita di una riproduzione ed una ripetizione identica degli stessi modi di vita. Come l’evoluzione biologica procede attraverso le modificazioni indotte dagli errori di replicazioni del materiale genetico, così, allo stesso modo, l’evoluzione storica, anche all’interno di una tradizione, procede grazie all’interpretazione originale che di tale tradizione ognuno di noi può dare.
Verso la scoperta dell’interdipendenza
Come abbiamo visto gli spazi in cui tale processo si dipana sono, per Hegel, principalmente quelli della famiglia, della società civile e dello Stato. Vedremo più avanti come dopo la fase iniziale dello sviluppo della volontà in seno alla famiglia, è nell’ambito della società civile che, attraverso l’azione dello scambio di mercato e della cooperazione per il soddisfacimento reciproco dei propri bisogni, scopriamo l’interdipendenza e la natura relazionale della nostra vita. Sarà la scoperta di tale interdipendenza a far emergere in maniera radicale il bisogno di riconoscimento. La risposta politica a tale bisogno porta alla creazione di uno spazio pubblico condiviso dove far emergere l’apparato legale necessario a sostenere le relazioni sociali e a regolarne il funzionamento. Un sistema di norme che per Hegel altro non è che il luogo nel quale la libertà viene resa effettiva. Scrive il filosofo nel titoletto del paragrafo 29 dei Lineamenti “Questo, che un esserci in genere è esserci della volontà libera, è il diritto. – Esso è quindi in genere la libertà, come idea”.
https://www.ilsole24ore.com/art/hegel-filosofo-tradizione-e-riconoscimento-AFcRQuVB

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