Quattro giorni fa Avvenire pubblica la notizia e la lettera di Davide, che ci lascia, dopo anni di sofferenza, con il suicido assistito. Tanto ci sarebbe da dire, in positivo, sull’atteggiamento del quotidiano cattolico: finalmente parole umane dopo, per esempio, quelle su Welby (giudizi poco cristiani ed esequie negate, fatto canonicamente inaccettabile) o quelle su Beppino Englaro e cosi via. Ma, forse ancora più interessanti sono i commenti (più di 800) che seguono in calce alla notizia, riportata su FB. In essi si legge di tutto: a favore del gesto o contro, espressioni di condanna o accoglienza, di misericordia o rifiuto e via dicendo. Non so se il numero possa avere una rilevanza statistica, tuttavia mi sembra molto indicativo della realtà cattolica italiana, non solo sul tema, ma credo in generale. Il mondo cattolico italiano (e non solo) è segnato fortemente da una varietà di posizioni, sui social (come per tutti) esse sono espresse con molta emotività. Del resto sappiamo bene che i social non sono luoghi di confronto ma solo di manifestazione pubblica di pensiero. Quindi i social non bastano e non sono idonei a formare, perché sono moltiplicatori emotivi, con lacune razionali molto ampie e, soprattutto, sono un comunicare “in piazza” senza avere un luogo dove incontrarsi di persona e formarsi.
Alla luce di ciò mi chiedo se ci siano degli spazi, nelle parrocchie, nei gruppi e movimenti, dove si possano discutere queste posizioni o altre su temi sensibili (aborto, eutanasia, immigrazione, povertà, pace, giustizia, lotta alla corruzione e agli abusi su donne e piccoli e cosi via). Non mi riferisco a conferenze con esperti, molto frequenti anche con ottimi interventi; mi riferisco, invece, a spazi e tempi per discutere, dialogare, confrontarsi, ricevere indicazioni di lettura e meditazione personali…
Una volta questi incontri si chiamavano (si chiamano ancora?) catechesi: erano (e sono dove resistono) serie, settimanali, partecipate con assiduità. Incontri molto diversi dagli eventi e conferenze di oggi; guidate da catechisti dediti e preparati (non grandi nomi, ma pastori e laici di solida cultura e lunga esperienza). Credo che oggi abbiamo bisogno più di queste catechesi che di eventi. Mi chiedi se i giovani presenti al ricco e bello evento di Lisbona ora sono inseriti in percorsi di catechesi .
Ci si potrebbe chiedere: ma a che serve la catechesi? Perché non bastano i soli eventi? Solo la catechesi assolve al compito indispensabile e generale di formazione, che né gli eventi, né i social possono sostituire. Scrivevano i Vescovi nel 1970: “La catechesi illumina le molteplici situazioni della vita, preparando ciascuno a scoprire e a vivere la sua vocazione cristiana nel mondo. Infatti, crescendo nella conoscenza di Cristo mediante la fede, ciascuno fa proprio il pensiero di Lui, i suoi giudizi, la sua volontà, la sua croce e la sua gloria, in una operosa vita di carità. D’altro lato, l’esperienza cristiana della vita conferma la fede e apre la coscienza a nuovo desiderio di conoscere e amare il Signore e di rendergli testimonianza”.
Abbiamo nuovamente bisogno di questa formazione che poi sfoci, quasi naturalmente, in servizio agli ultimi, specie ammalati, anziani, poveri e migranti. Se anni fa tutto questo c’era di più e meglio di oggi, ci saranno pure dei motivi. Su cui vale la pena molto interrogarsi.
Rocco D’Ambrosio
[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS, Cassano, Bari]