La tela paziente della Cina per chiudere la guerra in Ucraina, di Gianluca Modolo e Iacopo Scaramuzzi

Maestra nell’arte della pazienza. Ma molto desiderosa – pur tra tutti gli equilibrismi difficili di cui deve tenere conto – che ora si arrivi a una soluzione sul conflitto in Ucraina. Dall’inizio della guerra a oggi la Cina ha modificato pian piano la sua posizione, riequilibrato i toni e le azioni, pur continuando a sbandierare pubblicamente il rapporto con Mosca, cambiando a piccoli passi traiettoria. Ne è testimonianza il vertice di Gedda di un mese e mezzo fa. E filtra in controluce anche adesso, dopo aver ospitato a Pechino l’inviato del Papa, il cardinale Matteo Zuppi.
«Una discussione franca» con Li Hui, l’uomo di Xi incaricato del dossier, «con un importante scambio di vedute anche di prospettive per il futuro», ha detto Zuppi a Tv2000. Colloqui molto significativi dato il contesto: Cina e Santa Sede non hanno rapporti diplomatici e non mancano screzi sulle nomine dei vescovi.
Tutti gli attori lavorano a mediare per un cessate il fuoco che porti a un negoziato. Esercizio diplomatico il cui successo o meno verrà determinato dalle condizioni sul terreno. Tutti però capiscono che fino alle presidenziali russe di metà marzo Putin non può né vuole discutere di questi temi (nonostante il solito balletto di dichiarazioni di ieri quando ha detto che non ha «mai rifiutato negoziati sull’Ucraina: se la controparte li vuole, lo dica»). Washington, da parte sua, spinge perché si trovi una via d’uscita prima delle presidenziali Usa del novembre 2024.
Per Pechino aver accettato di ricevere l’inviato del Papa è stato importante per varie ragioni: perché si sente sempre lusingata se qualcuno la cerca; perché ha interesse a proiettare un’immagine di Paese responsabile, portatore di pace e alla ricerca di una soluzione negoziale, per ridurre quella faglia tra occidente e oriente che si sta pericolosamente allargando. Con un’economia in affanno, Pechino sa che bisogna ritornare a rapporti più sani. Un atteggiamento in linea con la strada intrapresa a Gedda – la presenza cinese è stata apprezzata da Washington e Bruxelles – dove, parole di Li, si è consolidato «il consenso internazionale sulla soluzione della crisi». Frase che non deve tradursi in un appoggio tout court al piano ucraino, che insieme agli altri partecipanti al vertice di agosto nella città saudita, G7 e “Sud Globale”, Pechino sta lavorando a rimodulare, ma che rivela l’interesse che il conflitto si avvii presto a una definizione.
Terzo motivo, infine, perché a Pechino non dispiace mantenere un contatto con la Chiesa, soprattutto su temi umanitari. La leadership comunista batte sui tasti della sicurezza dei civili e quella alimentare. Risolvere il nodo del grano ucraino, di cui i cinesi sono grandi importatori, darebbe loro la possibilità pure di “spenderselo” come successo con i Paesi del Sud globale che corteggia.
Dopodomani a Mosca andrà il ministro degli Esteri cinese Wang Yi per incontrare il suo omologo Sergej Lavrov. Non emergerà pubblicamente un impegno più diretto: la volontà è di non esporsi, ancora, così. La Cina deve continuare a barcamenarsi perché non può ridefinire adesso radicalmente i rapporti con Mosca (un Putin umiliato alle porte di casa ora diventerebbe un pericolo), ma sa che deve caldeggiare una soluzione per minimizzare gli svantaggi che il conflitto porta. Il ragionamento è questo: abbiamo una posizione indipendente, favoriamo tutti i tentativi di dialogo, e appena possibile ci posizioneremo al meglio.
Un approccio che ben si compone con la “offensiva di pace” voluta da papa Francesco. E che non si è conclusa con la tappa cinese di Zuppi. Il cardinale non era ancora rientrato in Italia che il ministro degli Esteri russo ha annunciato che l’inviato del Papa «presto verrà di nuovo» a Mosca. «Siamo pronti a incontrare tutti», ha detto Lavrov, «pronti a parlare con tutti».
Invito accolto dal Vaticano con un silenzio che fa trasparire il desiderio di evitare strumentalizzazioni. Gli ucraini, già irritati da alcune esternazioni del Papa, temono che Mosca usi queste visite per migliorare la propria immagine internazionale. Una data per la nuova missione di Zuppi non c’è. Ma, prudenza a parte, l’invito russo è percepito a Roma come un buon segno.
«La Chiesa agisce non solo in base alle conclusioni dell’analisi della situazione, ma anche con coraggio spirituale», spiega a Repubblica il nunzio apostolico in Ucraina, monsignor Visvaldas Kulbokas: fa parte della sua missione «sperare contro ogni speranza» e «lavorare nei campi che la logica umana ritiene essere sterili». Per fare avanzare la pace gli uomini del Papa non si sottraggono, insomma, anche se fosse necessario perdere la faccia.
In prima battuta l’obiettivo è ottenere risultati umanitari. In tutti questi mesi Bergoglio e i suoi collaboratori hanno trasmesso a Mosca diversi elenchi di persone da liberare. Bambini, prigionieri militari, ma anche – lo ha detto il capo della Chiesa greco-cattolica Sviatoslav Shevchuk in questi giorni a Roma – prigionieri civili, tra di essi medici e sacerdoti. Trattative, spiragli che possono schiudere scenari di pace.
Se in questo momento le condizioni per una mediazione vera e propria non ci sono, «il cardinale Zuppi, che è stato a Kiev, Mosca, Washington e Pechino, è un potenziale mediatore», sottolinea l’ambasciatore del Papa a Kiev. «Già la sua presenza rappresenta un canale». Ora si tratta di non perdere questa occasione.
https://www.repubblica.it/esteri/2023/09/16/news/cina_pace_ucraina_zuppi-414639234/?ref=RHLF-BG-I414650090-P4-S1-T1

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