C’è un grido, «doloroso e assordante», che si alza dalle morti di innocenti, «che non può lasciarci indifferenti». Il Papa, scrivendo all’arcivescovo di Agrigento, “ritorna” oggi a Lampedusa, a distanza di dieci anni quando arrivò nell’isola siciliana scelta come meta del suo primo viaggio dopo nemmeno quattro mesi dalla sua elezione. E ritorna anche a quelle parole pronunciate nell’omelia dell’8 luglio 2013 e ripete quelle tre domande, contenute in quel testo, che bruciano intensamente ancora oggi. Le prime due, prese dalla Bibbia, oggi le riassume e le ripropone perché «il consumarsi di sciagure così disumane deve assolutamente scuotere le coscienze. Dio ancora ci chiede: «Adamo dove sei? Dov’è tuo fratello?». A queste due domande la risposta l’ha data Gesù con il nuovo comandamento dell’amore unico ma suddiviso nelle due direzioni “verticale” e “orizzontale”.
Sono domande poste «all’uomo disorientato», come disse il Papa dieci anni fa quando aggiunse una terza domanda su quanti “di noi” avessimo pianto per tutte quelle morti in mare. Se avessimo insomma ancora il dono delle lacrime o la “globalizzazione dell’indifferenza” avesse inaridito i nostri cuori. E quindi rivolgeva una preghiera a Dio per avere la “grazia di piangere” e chiedere perdono per “quell’anestesia del cuore” provocata dal benessere materiale. In quell’omelia confidò che il pensiero di tutti quei morti nelle acque del Mediterraneo era «tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza».
Quella “spina” lo aveva spinto a muoversi, scegliere Lampedusa come prima delle oltre 40 tappe del suo lungo viaggio di questi dieci anni. Parlando il 27 maggio ad alcuni artisti il Papa ha usato la stessa immagine della “spina nel cuore”: «Le parole degli scrittori mi hanno aiutato a capire me stesso, il mondo, il mio popolo; ma anche ad approfondire il cuore umano [..] la parola letteraria è come una spina nel cuore che muove alla contemplazione e ti mette in cammino». La parola, e i racconti, possono diventare spine, voci che risvegliano la coscienza e spingono all’azione, da qui scaturisce la responsabilità non solo degli artisti, ma di tutti gli operatori della comunicazione. È la responsabilità anche della Chiesa, scrive nella lettera al vescovo Damiano, che deve uscire da sé stessa «per essere realmente profetica».
Una responsabilità oggi ancora più urgente. A distanza di dieci anni infatti possiamo dire che il mondo è cambiato, il vento della politica mondiale ha girato verso tendenze di maggiore chiusura anziché di accoglienza, c’è stata una pandemia a livello mondiale e i “pezzi” della terza guerra mondiale sembrano essersi saldati; quelle domande quindi restano ancora lì, più pesanti e brucianti e anzi forse bisogna aggiungere la quarta: abbiamo recuperato la capacità di «piangere e compatire l’altro»? O l’indifferenza, la paura, hanno completato l’anestesia totale dei nostri cuori?
osservatoreromano.va/it/news/2023-07/quo-156/la-vergogna-di-una-societa-incapace-di-piangere.html
Lettera del Papa: