L’amore che nutriamo nel profondo del cuore, la rabbia che talvolta ci assale, persino la gioia per lo scudetto (riguarda uno di noi…) ci sembrano tutti stati d’animo intimi e segreti. Non è più così. Questo perché negli ultimi anni abbiamo assistito a una vera e propria rivoluzione nello studio del cervello umano . Tale rivoluzione è dovuta ai progressi delle neuroscienze. In questo settore, ai metodi (relativamente) tradizionali della psicologia sperimentale e della biologia genetica si è aggiunto un nuovo campo di ricerca il cosiddetto brain imaging o neuroimaging. Le neuroimmagini, che ne derivano, forniscono una visualizzazione delle attività del cervello tramite macchine ad hoc, come la tomografia a emissione di positroni o la risonanza magnetica.
Da quello che si può capire, le metodiche in questione funzionano mettendo in evidenza che un’area di cervello particolarmente impegnata è irrorata da più sangue delle altre. Ciò permette di localizzare alcune funzioni del cervello e di distinguere tra esse, per esempio notando che c’è un’area che si usa di più quando si parla e una che invece prevale quando si ascolta. E così via. In sostanza, gran parte di ciò che sappiamo sul cervello deriva oggi da una crescente capacità di tracciare delle mappe, vere e proprie carte topografiche, della corteccia cerebrale e delle strutture situate nella profondità dell’encefalo.
Tutto ciò, ovviamente, può essere prezioso dal punto di vista clinico e aiutare nella terapia di disturbi gravi come quelli che fanno seguito a un ictus. Ma, al tempo stesso, il ricorso alle neuroimmagini permette di penetrare all’interno di quelle che erano considerate sfere del tutto protette dell’attività umana mentale. Si può infatti ipotizzare che adoperando le neuroimmagini si possa entrare nel merito di intenzioni e punti di vista di ognuno di noi. E addirittura che, decodificando le attività cerebrali, si possa sapere quali azioni le persone stiano in procinto di compiere. Naturalmente, qualcosa del genere avviene per ora soprattutto in laboratorio nel corso di esperimenti e con un notevole margine di imprecisione.
Si ritiene comunque che — attraverso i progressi del neuroimaging — si possa cominciare a comprendere come le persone si orientino politicamente, se per esempio sono tendenzialmente di destra e di sinistra, e che tipo di gusti abbiano. Con il risultato che nuove imprese stanno iniziando a studiare sistematicamente come con queste tecniche possano influenzare il targeting politico e il marketing commerciale.
Si cercano, in altre parole, strategie innovative per influenzare le scelte politiche e il comportamento del consumatore. Per esempio, si può cercare di capire come un’etichetta, diciamo quella della Coca Cola, abbia influenza sulla scelta di una bevanda. E lo stesso, fatte le debite distinzioni, vale per le campagne politiche. Queste ultime si avvalgono oggi del supporto di tecniche informatiche, che però usano di solito dati abbastanza rozzi come luogo e data di nascita, residenza, professione, etnia etc…
Le tecniche di neuroimaging potrebbero fornire nuovi e assai potenti strumenti per influenzare, come si diceva, le scelte commerciali e politiche a partire dalle visualizzazioni del cervello e dalla loro interpretazione. Ma se quindi si tratta di trasformare dei dati in informazioni, cioè in qualcosa di valore per prendere decisioni volte a ottenere dei risultati pratici, chi meglio dei giganti del mondo dell’informatica potrebbe essere interessato a tutto ciò?
Se ne è resa conto l’industria di avanguardia, a cominciare da chi produce telefoni cellulari: Apple e Samsung stanno lavorando su come collegare gli apparecchi alle attività cerebellari, e c’è già chi scommette su un futuro prossimo in cui tastiere e touch screen saranno progressivamente sostituiti da meccanismi messi in funzione dal cervello. Più in generale, queste mappe del cervello potrebbero fungere da interfaccia dei computer.
Non c’è da sorprendere che tutto ciò possa generare sconcerto e preoccupazione. Al di là della invasione della privacy che ciò competerebbe, qualcosa del genere metterebbe a repentaglio quella che potremmo definire libertà cognitiva. E, così facendo, cancellerebbe quel libero arbitrio che ci consente di considerarci protagonisti delle nostre scelte più significative. Cosa che, comprensibilmente, genera enormi interrogativi etici e questioni giuridiche.
Si è assistito di conseguenza alla nascita di un nuovo sapere, la neuroetica. Con il termine neuroetica ci si riferisce a due campi di studio diversi: le neuroscienze dell’etica e l’etica della neuroscienza. La neuroscienza dell’etica si occupa di investigare dalla prospettiva del cervello alcune nozioni e alcuni problemi tradizionali della psicologia morale. L’etica della neuroscienza si occupa essenzialmente di discutere da un punto di vista etico la progettazione e l’esecuzione di uno studio neuroscientifico, di valutare l’impatto etico e sociale dei suoi risultati e di fornire delle valutazioni etiche delle neurotecnologie che ne derivano.
https://www.corriere.it/editoriali/23_giugno_28/tecnologia-scoperta-cervello-pensieri-24d2ff9e-15c9-11ee-b570-8ff72e535806.shtml?refresh_ce
Cercasi un fine è “insieme” un periodico e un sito web dal 2005; un’associazione di promozione sociale, fondata nel 2008 (con attività che risalgono a partire dal 2002), iscritta al RUNTS e dotata di personalità giuridica. E’ anche una rete di scuole di formazione politica e un gruppo di accoglienza e formazione linguistica per cittadini stranieri, gruppo I CARE. A Cercasi un fine vi partecipano credenti cristiani e donne e uomini di diverse culture e religioni, accomunati dall’impegno per una società più giusta, pacifica e bella.