La vicenda personale di Silvio Berlusconi è conclusa: requiescat in pace. Tuttavia quello che lui ha rappresentato e diffuso, attingendo ad elementi preesistenti la sua persona, merita un approfondimento. È ciò che si definisce come berlusconismo. Si tratta di un modo di essere e pensare che supera lo stretto ambito individuale della persona di Silvio Berlusconi e si pone come un ampio movimento di idee e di azione. Il berlusconismo è un misto, molto discutibile, di diverse caratteristiche delle leadership strategiche (costruite in genere a tavolino, spesso con caratteristiche aziendali e di marketing) unite a posizioni antropologiche ed etiche, che, da alcuni decenni in Italia, riscuotono molti consensi. In sintesi, quasi per macro aeree, il berlusconismo è un fenomeno italiano caratterizzato da: una grande fiducia nella potenza delle risorse economiche; populismo; democrazia snaturata e conflittuale; uso strumentale della religione.
Se dovesse scrivere un elenco dei singoli di queste quattro macro aree gli elementi più appariscenti sarebbero: un marcato individualismo e utilitarismo; la sete sfrenata di potere e denaro; il servirsi delle istituzioni più che il servirle; il piegare le leggi a proprio favore; il vantarsi di non pagare le tasse; il pensare che se si hanno soldi si può (quasi) fare tutto; lo stile volgare e arrogante; l’offendere gli avversari; l’ambiguità di giudizio su fenomeni come mafie, servizi segreti e massoneria deviati; il ritenere nemici tutti coloro che non condividono il proprio pensiero ed operato; l’utilizzo strumentale della religione; il mancato rispetto della laicità dello Stato; il non mantenere fede agli impegni presi; l’ottenere il consenso con ogni mezzo lecito e illecito; un senso di fastidio verso le procedure istituzionali, specie parlamentari; la forte tendenza all’autoreferenzialità. Questi e diversi altri…
Quindi, in sintesi, il berlusconismo è “prima” di tutto un problema culturale e “poi” politico, prova ne è che segna anche ambienti – come la sinistra e le comunità cattolica – che dovrebbero essere parecchio lontani da questo modello culturale. Porto tre esempi in merito, basati su personalissime e discutibili opinioni: il modello di TV; il modello di partito politico; il cattolico berlusconiano.
1. La larga diffusione di una TV, più commerciale che di contenuto, è un pilastro del berlusconismo. Programmi, come per esempio il Maurizio Costanzo Show, hanno tenuto banco per decenni, proponendo un modello di TV dove tutto è preparato prima, con finalità precise (denigrare o esaltare, a seconda dei casi); gli invitati sembrano recitare una parte; il conduttore fa il bello e il cattivo tempo, con poco rispetto di chi la pensa diversamente. La RAI, invece, di opporsi a ciò e proporre una TV di qualità (rinnovata ma seria), ha per lo più imitato la concorrenza. Risultato finale è che oggi la stragrande maggioranza dei dibattiti televisivi è inguardabile e disgustoso. Il modello berlusconiano ha trionfato.
2. Il berlusconismo politico ha usato come suo strumento il partito-azienda, con scarsa democraticità interna e dipendenza psicologica e politica dal leader. Il partito-movimento, il M5S, nato con l’intento di rinnovare la situazione politica, ha imitato grosso modo il modello berlusconiano nei due elementi distintivi; per alcuni aspetti lo ha anche peggiorato: Berlusconi si è sempre giocato in prima persona con le sue candidature, Grillo e i Casaleggio, invece, guidano il partito senza mai essersi sottoposti alla prova delle elezioni. Anche la sinistra, in alcuni momenti, è caduta nella trappola del berlusconismo. Si pensi a tutti gli errori fatti dalle forze di centrosinistra nel non proporre una legge sul conflitto di interessi, nel non potenziare l’opposizione alla vigente legge elettorale, nella debolezza politica dimostrata nel momento in cui essi la potevano riformare, nell’aver, alcune volte, scimmiottato il berlusconismo in metodi e sostanza, nel non aver rinnovato la propria classe dirigente, al momento opportuno, con persone competenti e integre moralmente, nel non aver avviato percorsi di formazione politica per i propri dirigenti e per tutti i cittadini.
3. Diversi cattolici sono troppo tolleranti nei confronti del berlusconismo (come del leghismo) e, in alcuni casi, lo hanno appoggiato apertamente (fino a tentare di “canonizzare” il fondatore), accettando una prassi e un pensiero che hanno poco a che fare con lo spirito evangelico. Il berlusconismo sembra propugnare quel tipo di cattolico borghese che si accontenta di un richiamo a certi principi della dottrina cattolica (famiglia, salvaguardia della vita, bioetica) e dimentica e tradisce tanti altri (bene comune, solidarietà, accoglienza e promozione degli ultimi e dei migranti, giustizia e legalità, promozione della pace e della salvaguardia dell’ambiente naturale). Forse l’appoggio alla destra berlusconiana è stato funzionale a garantire la continuità di alcuni privilegi economici e fiscali verso la comunità cattolica.
Sorge infine una domanda: quanto i partiti di Salvini e Meloni sono berlusconisti? Ciò meriterebbe un’analisi a parte. Intanto forse può essere di aiuto, nello studio dell’attuale destra, quanto scrivevano due autori inglesi nel 1901 (!), Bolton King e Thomas Okey: “Uno dei primi fatti che fermano l’osservatore della vita italiana è la confusione e la decadenza dei vecchi partiti. Essi hanno perso fede nei loro principi, nel loro paese, in se stessi. La loro azione sembra poco meglio di un’interessata lotta per raggiungere cariche pubbliche e di una cieca resistenza a forze che non sanno comprendere e assimilare, e che pertanto temono. La politica italiana si è annebbiata”.
Rocco D’Ambrosio,
presbitero, doc. di filosofia politica, Pont. Università Gregoriana, Roma; pres. Cercasi un fine, Cassano, Bari.
- articolo pubblicato in parte su Gobalist, il 23.6.2023: https://www.globalist.it/politics/2023/06/23/il-berlusconismo-dopo-berlusconi-la-destra-al-governo-e-uneredita-da-gestire/