Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli». (Mt 10,26-33 XII TO/A).
25 giugno 2023. Ne abbiamo avuto – ne abbiamo ancora – di paure in questo lungo periodo: dopo (o quasi) la pandemia, c’è la guerra di aggressione in Ucraina e la minaccia atomica russa. Siano esse piccole o grandi paure, sono, in fondo, le paure di sempre, su tanti versanti: salute, relazioni, lavoro, terrorismo, incidenti, violenze e cattiveria altrui, guerre e via discorrendo. La nostra è un’era di paure più dei secoli e tempi passati? Non lo so. Certamente un’epoca senza paure non è mai esistita.
Gli storici potranno dirci se questo periodo è più segnato dalle paure o meno. Ma, al di là di quello che dicono gli esperti, le nostre paure restano. Restano eccome. Ogni giorno, spesso ogni ora. Sono lì. A volte crescono, a volte si indeboliscono. A volte ci distruggono. A volte le vinciamo e andiamo avanti. Un libro di William Davies – Stati nervosi. Come l’emotività ha conquistato il mondo – mette in evidenza la centralità del nostro corpo, anche nel discorso delle paure. Il corpo inteso come intreccio di emozioni e pensieri, progetti e paure. “Il corpo – scrive William Davies – è diventato una delle principali aree di scontro degli esperti e delle loro prospettive morali, emotive e politiche”.
In questo marasma, personale e sociale, e globale, l’invito di Gesù è chiarissimo quando ci dice: “Non abbiate paura”. E aggiunge: “paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo”. I teologi direbbero parlerebbero di salvezza che si compie in un “luogo teologico”, nel “tempio dello Spirito Santo” (1 Cor 6,19), cioè il nostro corpo. Quel corpo, che in questa crisi, è attaccato da malattie disgrazie, somatizza paure. Quel corpo che soffre, nel mondo, dove più, dove meno, per mancanza di cibo, salute e medicinali, lavoro e relazioni; soffre perché manca il benessere. Ma non dobbiamo aver paura! Questo corpo vale, è custodito dal buon Dio: “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!”.
La fede è anche ostinazione. Se ho paura, devo portare le mie paure davanti al Signore e chiedergli: chi sei per me? Perché mi ripeti “non aver paura”? Dobbiamo anche chiedergli di insegnarci ad abbandonarci a Lui. Come i passeri, ovvero come creature nude, fragili e indifese.
L’abbandono nelle mani di Dio non è cosa per i forti, i pieni di sé, i potenti di questo mondo. I piccoli hanno spesso paura, tanta. Ma quando sono nelle braccia di mamma o papà le loro paure finiscono. Noi siamo passeri, siamo piccoli. Solo le braccia del Padre sono il porto che ci salva da tutte le paure.
Ha scritto Dietrich Bonhoeffer, tra le diverse e serie paure del campo di concentramento dove era prigioniero: “Comprendete l’ora della tempesta e del naufragio, è l’ora della inaudita prossimità di Dio, non della sua lontananza. Là dove tutte le altre sicurezze si infrangono e crollano e tutti i puntelli che reggevano la nostra esistenza sono rovinati uno dopo altro, là dove abbiamo dovuto imparare a rinunciare, proprio là si realizza questa prossimità di Dio, perché Dio sta per intervenire, vuol essere per noi sostegno e certezza. Egli distrugge, lascia che abbia luogo il naufragio, nel destino e nella colpa; ma in ogni naufragio ci ributta su di Lui. Questo ci vuole mostrare: quando tu lasci andare tutto, quando perdi e abbandoni ogni tua sicurezza, ecco, allora sei libero per Dio e totalmente sicuro in Lui”.
Rocco D’Ambrosio,
presbitero, doc. di filosofia politica, Pont. Università Gregoriana, Roma; pres. Cercasi un fine, Cassano, Bari.