Resta solo da augurarsi che le ricostruzioni fornite dai superstiti non siano accurate. Ma secondo quello che riferiscono i sopravvissuti all’ennesima strage di migranti, occorsa al largo delle coste greche all’alba di mercoledì mattina, a boro dell’imbarcazione ci sarebbero state circa 750 persone tra cui oltre 100 bambini. I superstiti, al momento, sono 104. Tutti gli altri sono ufficialmente dispersi ma secondo i soccorritori “le speranze sono ormai scarse” di ritrovarli vivi. Su quella che potrebbe rivelarsi una delle peggiori stragi del Mediterraneo, è già partita la ridda di accuse e critiche incrociate tra Italia, Grecia e Frontex, l’agenzia di frontiera dell’Unione Europea, accusata di aver svolto un ruolo in precedenti naufragi tra cui quello di Cutro in Calabria, la cui dinamica ricorda molto quella di oggi. Secondo le ricostruzioni infatti, il peschereccio, partito cinque giorni prima da Tobruk in Libia e diretto in Italia, sarebbe stato avvistato e segnalato ore prima del naufragio, ma non sarebbe stato soccorso né dalla guardia costiera greca né da Frontex nonostante le condizioni meteo favorevoli. A bordo ci sarebbero state persone provenienti perlopiù da Siria, Pakistan ed Egitto. La nave è affondata in acque internazionali, 45 miglia a sud ovest di Pylos, nel Peloponneso. Il premier greco facente funzione Ioannis Sarmas ha parlato di “tragedia” e dichiarato tre giorni di lutto nazionale, fino a sabato.
Versioni che non coincidono?
Sulla dinamica del naufragio le versioni fornite dai vari attori non coincidono: in un tweet, Frontex afferma di aver allertato “le autorità competenti” alle 9:47 del 13 giugno. Ma sui media greci, le autorità elleniche riferiscono di aver stabilito un primo contatto con la nave solo nel pomeriggio dello stesso giorno. Atene riferisce che il peschereccio non aveva inviato alcuna richiesta di aiuto e che navigava in buone condizioni e che sarebbero stati i migranti a rifiutare l’aiuto offerto, per poter proseguire il viaggio verso l’Italia. Una nave con bandiera maltese avrebbe fornito cibo e acqua intorno alle 20. E un’altra solo acqua tre ore dopo. All’una passata di mercoledì qualcuno, a bordo del peschereccio, avrebbe contattato la Guardia costiera greca per un malfunzionamento del motore. Poco dopo, il peschereccio si è capovolto, affondando in pochi minuti. L’ong Alarm Phone è rimasta in contatto con il barcone fino alla mezzanotte di martedì, quando ha fatto sapere di non riuscire più a parlare con le persone a bordo. L’organizzazione, che fornisce soccorso ai migranti in mare mettendoli in contatto con le autorità dei vari Stati competenti per supportare le attività di salvataggio, accusa la Guardia costiera greca di aver deciso – seppur informata delle difficoltà in cui versava il peschereccio – di non intervenire. Il sospetto è che Atene abbia sperato che i migranti raggiungessero acque di competenza italiane, in modo da non farsi carico delle operazioni di salvataggio, e accoglienza.
Parola d’ordine: esternalizzare?
Se un aspetto critico della vicenda riguarda i singoli paesi che si sottraggono alle responsabilità di salvare i migranti in mare, mettendo in atto dei veri e propri respingimenti a catena, il problema nel suo insieme riguarda l’intero continente. L’accordo raggiunto dai ministri dell’Interno dei 27, la bozza del cosiddetto nuovo Patto per le migrazioni favorisce la dimensione securitaria del fenomeno, che prevede di appaltare la gestione dei migranti ai paesi di transito in cambio di denaro, ma non prevede nessun programma europeo di ricerca e salvataggio che impedisca le stragi in mare, né canali di ingresso legali che offrano alternative ai cosiddetti ‘viaggi della speranza’. “Questo naufragio è il segno che la nostra politica migratoria non funziona bene al momento. La cambieremo con il nuovo Patto”, ha dichiarato la commissaria Ue agli Affari Interni Ylva Johansson. La strategia europea però, più che sull’evitare i naufragi, è tutta concentrata sulla prevenzione delle partenze attraverso il sostegno alle autorità dei paesi di transito da cui i migranti si imbarcano. E che l’Unione abbia deciso di optare con sempre maggior convinzione sugli accordi con paesi terzi, a cui si lascia il compito di contenere le migrazioni con la forza, è dimostrato dalla missione di pochi giorni fa di Ursula von der Leyen e Mark Rutte, con il governo italiano in Tunisia. In quell’occasione la presidente della Commissione Europea aveva promesso un miliardo di euro di assistenza finanziaria alla Tunisia, di cui 100 milioni per la gestione delle migrazioni.
“Un’ecatombe che si poteva evitare”?
Mentre si delineano i contorni del naufragio nell’Egeo, le organizzazioni per i diritti umani e la tutela dei migranti, come il Centro Astalli, parlano di “ecatombe che l’Europa avrebbe potuto e dovuto evitare”. In una nota dai toni particolarmente duri, padre Camillo Ripamonti sottolinea come a pochi giorni dal nuovo Patto UE per la migrazione e l’asilo, “la vacua retorica securitaria e l’ipocrita propaganda emergono davanti al terribile naufragio in cui hanno perso la vita esseri umani in cerca di salvezza”. Alle frontiere dell’Europa, sottolinea l’organizzazione, impegnata a difendere i diritti dei rifugiati e degli sfollati, si continua a morire perché non vi è un’azione comune di ricerca e soccorso dei migranti ma si continuano a investire risorse sulla chiusura e l’esternalizzazione delle frontiere, facendo accordi con paesi di transito illiberali e antidemocratici; manca la volontà degli stati europei di istituire vie d’accesso legali e sicure per chi cerca protezione in Europa, unico vero strumento per contrastare il traffico e la tratta di esseri umani; non si ha il coraggio e l’intelligenza politica di varare un piano europeo per l’accoglienza e la redistribuzione di richiedenti asilo e rifugiati nei 27 stati membri che superi il Regolamento di Dublino e che non sia gestito solo su base volontaria. Secondo il presidente del Centro Astalli: “L’Europa continua a proteggere i confini e a difendersi da coloro che sono le vittime di un mondo ingiusto. Dovremmo aver imparato negli anni, ormai troppi, che non si fermano gli arrivi ostacolando le partenze, rendendo più difficoltosi i viaggi. L’unico risultato di queste politiche è l’aumento delle morti alle frontiere. La drammatica e cinica conclusione di questo agire è che di fatto riteniamo alcune vite sacrificabili”
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/il-naufragio-132412