Il 5 aprile di 10 anni fa entrava a far parte dell’ordinamento il decreto trasparenza, d.lgs. 33/2013, con l’obiettivo di realizzare in concreto la «casa di vetro» di turatiana memoria, tante volte invocata come modello di amministrazione pubblica cui tendere. Si introduce, in capo alle amministrazioni, l’obbligo di pubblicare nella sezione «Amministrazione trasparente», presente sui siti istituzionali, dati, informazioni e documenti per realizzare la trasparenza «proattiva», garantendo l’accessibilità totale alle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, per favorire forme diffuse di controllo sull’esercizio delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.
Nel 2016 il decreto trasparenza si è, poi, arricchito di un nuovo strumento di trasparenza, proprio delle democrazie moderne, l’ accesso civico generalizzato, risposta italiana al più noto «Foia» del sistema anglosassone (Legge sulla libertà di informazione emanata negli Stati Uniti nel 1966), che consente a «chiunque» di chiedere dati e documenti per i quali non vi è a monte un obbligo di pubblicazione, così autonomamente decidendo cosa conoscere e come quindi dare concretezza al ruolo di cittadinanza attiva nei limiti, naturalmente, del pregiudizio arrecabile agli interessi pubblici e privati contrapposti che vanno, così, bilanciati.
E, allora, in occasione di questo importante compleanno, la domanda si pone d’obbligo: l’Italia è oggi un Paese più trasparente? I cittadini sono veramente nella condizione di comprendere e conoscere le scelte che la politica e le amministrazioni fanno? Ma soprattutto questi anni sono serviti ad affermare il «diritto alla conoscibilità» delle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni?
Il bicchiere, come spesso accade, è mezzo pieno e sarebbe ingiusto affermare che questo decennio sia passato invano. È vero che della parola trasparenza si abusa ancora e che molto spesso è solo apparente, quasi come se bastasse parlarne; come è vero che spesso si vuole solo la trasparenza degli altri o dagli altri, ma si è poco inclini ad assicurarla in prima persona; ma è anche vero che gli strumenti di trasparenza sono ancora poco conosciuti o utilizzati male; e talvolta deludenti perché alla fine le amministrazioni sono ancora poco propense ad aprire le porte ai fini del «controllo diffuso» o del «dibattito pubblico». Il compleanno che ora si festeggia è, quindi, l’occasione per qualche riflessione sulla effettiva realizzazione della «casa di vetro».
La previsione di obblighi di pubblicazione, che ha certamente, soprattutto nei primi anni, rappresentato una novità per il Paese, non sempre risulta appagante sia per la scelta che per la governance degli obblighi individuati. Persiste, poi, una sorta di «sciatteria» del legislatore rispetto ai dati patrimoniali dei dirigenti pubblici, per alcuni dei quali ne è prevista la pubblicazione (dirigenti di vertice delle amministrazioni statali) dal 2017 in ragione dell’intervento della sentenza della Corte Costituzionale n. 20/2019, laddove, per altri (dirigenti apicali non statali), si aspetta dall’aprile 2021 che giunga il regolamento che individui i soggetti tenuti ai medesimi obblighi, creando tutto ciò una disparità di trattamento e un regime di trasparenza poco credibile.
Sul fronte dell’accesso generalizzato, va detto che non si è rivelato quello strumento di conoscenza e di cittadinanza attiva che ci si aspettava, considerate anche le resistenze «culturali» delle amministrazioni. Il diritto alla conoscibilità del cittadino, a dispetto della legge, risulta quasi sempre soccombente nel bilanciamento con gli interessi pubblici e privati contrapposti, dimenticando, troppo spesso, gli operatori pubblici, che nel «Foia» non è importante chi chiede ma che cosa si chiede. Chi attiva l’accesso generalizzato non deve avere un «interesse altruistico o sociale» o meritevole, per quanto, il suo interesse non debba essere pretestuoso o contrario a buona fede (Cons. Stato n. 10/2020). Potrà essere mosso anche da un interesse «egoistico», purché si chiedano informazioni o documenti di interesse per il pubblico, che indichino le scelte amministrative operate o che impattino sulla spesa pubblica e rispetto ai quali non si rinvengano interessi contrapposti da tutelare in via prevalente. Si finisce così, ancora troppo spesso, per enfatizzare la posizione del richiedente, in contrasto con la volontà del legislatore, atteso che la disciplina garantisce l’accesso generalizzato a «chiunque».
A ciò si aggiunga che la strada processuale non è agevole, anche in ragione dei costi, visto che contrariamente all’accesso alle informazioni ambientali, forse unico vero «Foia» italiano, per il quale è previsto la gratuità del ricorso, il cittadino per perseguire la trasparenza amministrativa deve essere pronto a sostenerne i costi. Anche la trasparenza, come l’ambiente, andrebbe considerata un bene di tutti.
Per questo importante compleanno va ricordato che la trasparenza non è gossip, non è voyeurismo amministrativo né «stalkeraggio» verso le amministrazioni, ma è un principio che realizza il diritto di informarsi, di autodeterminarsi e di sentirsi parte dell’opinione pubblica, di una comunità. Il diritto alla conoscibilità nel nostro Paese è, quindi, in cammino, ma non ha raggiunto ancora la meta anche perché non ci si ricorda a sufficienza di riconoscere agli altri la stessa trasparenza che vorremmo ci venisse riconosciuta da cittadini.
https://www.corriere.it/opinioni/23_giugno_01/i-dieci-anni-decreto-trasparenza-5b4551f2-009e-11ee-aa0d-ae14e4ab3247.shtml?refresh_ce
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