Non da ora si sente affermare che il fascismo è morto alla fine della Seconda guerra mondiale: l’antifascismo perciò non avrebbe più ragion d’essere. Fascismo e antifascismo come fatti storici conclusi, delimitati da termini cronologici definiti. Questa tesi, viziata da pregiudizio ideologico, da un lato minimizza e assolve l’eredità del fascismo perdurante per quasi ottant’anni, dall’altra, soprattutto, svigorisce e tende a dissolvere l’antifascismo come insieme di valori fondanti della nostra democrazia.
Un colpo all’antifascismo, invero, è arrivato perfino dal parlamento europeo, quando nel 2019 è stata approvata una risoluzione intesa a parificare le responsabilità del nazismo e del comunismo nello scatenamento del secondo conflitto mondiale. L’insidia di questa presa di posizione non consiste soltanto nella distorsione storica ai danni dell’esperienza comunista che ha contribuito non poco alla sconfitta del nazifascismo, ma anche e soprattutto nella riduzione delle colpe del nazismo, in quanto si afferma che tali colpe siano state condivise da altri, fra i quali invece si contano le vittime degli stermini nazifascisti.
Eppure lo stesso parlamento europeo aveva approvato, un anno prima, una diversa risoluzione che metteva a fuoco il pericolo neofascista dispiegato in tutto lo scenario continentale. Il fascismo storico non era e non è un capitolo chiuso, nella misura in cui numerosi movimenti politici si richiamano a esso esplicitamente o ne assumono elementi distintivi, identitari e simbolici. Fascismo storico e neofascismo (dichiarato o velato) sono certamente due cose distinte, diverse, ma sempre collegate e non separabili.
Il fascismo, sorto in Italia nel 1919 attingendo a fonti ideologiche disparate, ha segnato in modo caratterizzante la storia europea nella prima metà del Novecento; esso è stato un movimento politico di estrema destra, nazionalista e antidemocratico, che, diffondendosi in molti paesi del Vecchio continente, è andato al potere in alcuni di questi istituendo sistemi dittatoriali. Dopo il 1945, regimi emuli del fascismo e del nazismo sono sopravvissuti a lungo in Spagna e in Portogallo; altri sono nati ex novo ispirandosi esplicitamente a retaggi fascisti (in Grecia, in America del Sud). Tratti fascisti hanno contraddistinto anche il nazionalismo arabo di alcuni regimi militari “laici”. Il fascismo, insomma, è restato ed è un paradigma, del quale alcune forme sono storicamente irripetibili, mentre certi contenuti tendono a riproporsi aggiornandosi.
È insomma qualcosa che assomiglia al «fascismo eterno» del celebre saggio di Umberto Eco. Nelle democrazie europee il neofascismo non ha mai cessato la sua attività propagandistica, politica e non di rado terroristica, ponendosi spesso – come in Italia negli anni ’70 – al servizio di oscure e sanguinose trame finalizzate a comprimere gli spazi democratici. Nonostante ciò, oggi formazioni neofasciste e neonaziste agiscono alla luce del sole in molti paesi, sono presenti nei parlamenti e condizionano i governi. Esse rappresentano le punte estreme, violente, di un’ondata nazionalpopulista, xenofoba, caratterizzata da un nuovo razzismo, da islamofobia e in molti casi da antisemitismo, che si è affermata in numerosi paesi riuscendo a far attuare legislazioni restrittive in materia di immigrazione, diritti civili e sociali.
In anni recenti l’estrema destra fascistoide – caratterizzatasi anche per le agitazioni «No Vax» durante la pandemia di Covid 19 – ha scalato i vertici del paese più potente del mondo, gli Usa, grazie alla presidenza Trump, sostenuta dai suprematisti bianchi e dai neonazisti, ed è stata protagonista di un tentativo eversivo nel gennaio 2021. La destra razzista e fondamentalista ha supportato la vittoria elettorale di Bolsonaro in Brasile, appoggiando le sue politiche di persecuzione contro le popolazioni indigene. Il partito nazionalista e integralista indù, intollerante verso l’Islam, ha sottratto il governo dell’India al Congresso nazionale indiano di impronta laica.
L’ideologia e la politica di Putin in Russia sono orientate a un nazionalismo e revanscismo pan-russo che ha le sue punte di diamante in formazioni paramilitari come il Gruppo Wagner, ispirato al nazismo esoterico, e riscuote calorosi consensi fra i movimenti fascisti e nell’estrema destra mondiale. Anche il nuovo corso politico in Ucraina, dal 2014, è stato favorito dall’agitazione di gruppi neonazisti; il capo dei nazionalisti ucraini che fu collaborazionista del nazismo, Stepan Bandera, è stato ampiamente riabilitato e gli sono state intitolate piazze e strade; il Reggimento Azov, parte integrante dell’esercito ucraino, è stato fondato da suprematisti bianchi e neonazisti.
Dopo che in Francia il partito di Le Pen, fondato da nostalgici di Vichy e dell’Algeria coloniale, ha più volte concorso nei ballottaggi per l’elezione del presidente della repubblica, è stata l’Italia il paese in cui gli eredi diretti del fascismo mussoliniano, tramandatosi attraverso il Msi e le formazioni continuatrici, hanno conquistato la guida del governo nonché la presidenza del senato. Un fatto di rilevanza internazionale, lungamente preparato dal berlusconismo, capace di “sdoganare” i neofascisti e avviare una stagione di revisionismo storico, favorendo l’equiparazione fra partigiani e “ragazzi di Salò”, fra eccidi nazifascisti e “crimini” della Resistenza, fra Shoah e foibe. Anche questo tipo di equiparazione è stato fonte di parziale riabilitazione del fascismo, che – si dice – «ha fatto anche cose buone», e il cui unico “errore” sarebbe stata in fin dei conti la legislazione razziale.
La forze che oggi guidano il governo non rimettono davvero in discussione la loro matrice neofascista, anzi esprimono nel loro seno chi la rivendica apertamente, e hanno conservato atteggiamenti amichevoli e tolleranti verso gruppi neofascisti violenti, come quelli che assaltarono la sede della Cgil a Roma o aggredirono i manifestanti a Bari.
L’eclissi in Italia della discriminante antifascista, per lunghi anni picconata, porta con sé lo stravolgimento della Costituzione, già da tempo messa duramente alla prova: il veicolo incombente è l’annunciata “riforma” costituzionale mediante la quale si tenterà di introdurre nell’ordinamento italiano il presidenzialismo e l’autonomia differenziata. Il primo abolirebbe, senza contrappeso alcuno, la figura del presidente della repubblica come garante della Costituzione e dell’unità nazionale; la seconda farebbe saltare il solidarismo che ha ispirato la nostra Carta («tutti i cittadini hanno pari dignità sociale», «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale») e minerebbe alla base il principio della repubblica «una e indivisibile». Tutti temi che vedono la destra storicamente come elemento propulsore, assecondata oggi a una preoccupante debolezza e accondiscendenza (o addirittura condivisione) di altre parti politiche.
A ciò si aggiunga l’oscuramento di fatto dell’art. 11 della Carta, che sancisce il ripudio della guerra, e la crescente accettazione sostanziale di un orizzonte in cui la guerra (con annesso commercio delle armi) è una normalità inevitabile, tanto che anche ogni sforzo di intraprendere un’azione diplomatica per la pace è inibito, e se mai delegato ad altri Stati con atteggiamento di subalternità.
In definitiva, l’attualità dell’antifascismo è tutt’altro che una scontata banalità; essa significa assumere l’impegno prioritario di difesa della Costituzione del 1948, la vera e grande eredità della Resistenza.
*Presidente Anpi provinciale Bari