Il Vangelo odierno: La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostròloro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesùdisse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiòe disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati»(Gv 20, 19-23 – Pentecoste A).
28 maggio 2023. “Detto questo, soffiò e disse loro…”Parto dal fatto che il dono dello Spirito è spesso accompagnato dal gesto dell’alitare. Sappiamo bene che sono diversi i passi biblici che ci rimandano al soffio di Dio: sulla creazione, sul popolo, sui singoli. Uno per tutti: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gen 2, 7).
Leggendo il brano mi è ritornato in mente – non so per quale conscio o inconscio motivo – un brano di Agostino che riguarda tutt’altro tipo di soffio. Il santo di Ippona, quando prende coscienza di essere il primo nella scuola di retorica, afferma che la sua altera gioiaera legata al “gonfiarsi di vento” (nel testo latino: “gaudebam superbe et tumebam tyfo”). Non a caso un’immagine ricorrente nella letteratura, per esprimere l’autoreferenzialità, è quella del “gonfiarsi”, come nel testo di Agostino. Ma non solo lui: nella commedia la Dodicesima notte, Shakespeare descrive Malvolio come uno “gonfiato dalla sua immaginazione”; egli è un narciso “così presuntuoso, così convinto – a parer suo – d’essere un pozzo di virtù da mettersi in testa che tutti quelli che lo incontrano debbano innamorarsi di lui”. Remo Bodei sembra essere su questa linea quando introduce il concetto di io mongolfiera. Esso va inteso come un io gonfio di sé, che aspira alla felicità ma non accetta il tradizionale ordine interiore.
Mi direte: che c’entra tutto questo con lo Spirito di Dio? Forse – ditemi se sbaglio – quando non si è gonfi di se stessi, allora si inizia a far spazio allo Spirito di Dio. Non a caso lo Spirito viene e spazza via ogni peccato, superbia compresa o, meglio superbia, in primis, quella che ci fa gonfiare e toglie ogni spazio a Dio. Forse dovremmo fare un piccolo cammino, con il cuore e con la mente, per fare memoria di quante volte, nella nostra vita, il soffio dello Spirito è entrato in “competizione” con il nostro gonfiarsi, con il nostro io smisurato.
Dimenticare lo Spirito vuol dire misconoscere il fiume di grazia che attraversa la nostra vita. Non invocare lo Spirito può significare sentirsi troppo sicuri e padroni del nostro pensare e del nostro agire, troppo pieni di se stessi. Dimenticare lo Spirito vuol dire abbandonare la vita alla distruzione, nelle sue innumerevoli forme.
Interessante, inoltre, è notare come sia tipico di chi si gonfia, recitare parti, che non gli appartengono, fingere di essere ciò che non si è. Per il genio inglese, infatti, Malvolio è un “somaro pieno di sussiego, che manda a mente il comportamento da tenere”, infatti prova di nascosto gli inchini necessari per atteggiarsi, ma di fatto si espone al ridicolo, diventando lo zimbello di molti. Un motivo in più per invocare lo Spirito: per non diventare stupidi e attingere alla sapienza di Dio, facendo un po’ di bene in questo mondo.
Rocco D’Ambrosio, presbitero, doc. di filosofia politica, Pont. Università Gregoriana, Roma; pres. Cercasi un fine, Cassano, Bari.