La pace, il grande sogno. Un sogno concretizzato, dopo l’immane tragedia della II Guerra mondiale, attraverso la Carta delle Nazioni Unite che per la prima volta nella storia vietò la guerra, se non in caso di legittima difesa, e affermò la sovranità degli Stati esistenti (e di quelli che sarebbero nati a seguito dell’autodeterminazione dei popoli).
Ma il grande sogno, al di là del suo enorme valore simbolico, ha dimostrato nel corso dei decenni di essere solo tale e ben lontano dalla realtà, trovando dappertutto clamorose smentite quotidiane. L’ultima, e forse la più pericolosa, è la guerra che la Russia ha scatenato violando la sovranità dell’Ucraina in spregio di ogni norma della Carta delle Nazioni Unite, del cui Consiglio di sicurezza la Russia è pur sempre uno dei 5 membri permanenti (tali in quanto vincitori della II Guerra mondiale). Ma, e qui andiamo a uno dei nodi del problema, ciascuno di questi gode di un potere di veto che paralizza la capacità di azione dell’Organizzazione neutralizzandone quasi sempre la possibilità di agire a tutela della pace.
Non solo. Tale fondamentale valore è strettamente legato a quel bellissimo e basilare atto espresso dalle Nazioni Unite che è la Dichiarazione universale dei diritti umani adottato già dal 1948, il cui merito è l’aver proiettato per la prima volta la tutela degli stessi al di là dei confini nazionali e costituendo la base giuridica per i futuri tribunali internazionali (fra i quali quello permanente dell’Aja dal quale è stato spiccato il mandato di cattura verso Putin per crimini internazionali).
Il rispetto dei diritti fondamentali non solo è possibile esclusivamente in una situazione di pace, partendo dalla tutela di quello alla vita, ma costituisce il profilo identitario dell’ordinamento di uno Stato che alla guerra difficilmente è proclive. E non a caso l’Unione europea è formata da Stati democratici che alla guerra fra di loro hanno per sempre rinunciato, nonostante secoli passati perennemente in armi.
Su queste basi è impensabile rimanere in attesa di soluzioni che improvvisamente possano por fine al massacro in atto che, in quanto tale, vede tutti sconfitti anche coloro che ad essa non partecipano in prima persona. Certo, non potevamo assistere inerti a una criminale violazione dei principi sanciti nella Carta delle Nazioni Unite avendo l’obbligo, morale e politico, di assistere attivamente un popolo privato del suo diritto ad esistere come Stato indipendente. Tuttavia, l’Unione europea ha il dovere di chiedersi se stia facendo tutto quanto in suo potere per aprire spiragli di pace ed evitare una tragica escalation del conflitto.
Con gli Stati Uniti, anche nell’ambito della Nato, abbiamo una storica alleanza che è garanzia per la sicurezza dei confini degli Stati membri dell’UE; non dobbiamo, inoltre, dimenticare che l’Europa del secondo dopoguerra è rinata e cresciuta grazie al sacrificio di decine di migliaia di giovani americani venuti sul nostro territorio per fermare la barbarie nazista nonché ai corposi aiuti economici del Piano Marshall.
Oggi, però, l’Unione ha la necessità di diventare adulta e può farlo solo se comincia a ragionare quale partner privilegiato ma paritario degli Stati Uniti, partendo dal dotarsi di una vera e propria politica estera e di difesa comune. In proposito va segnalato che il Consiglio europeo (dei Capi di Stato o di Governo) il 23 marzo ha accolto con favore l’accordo raggiunto in Consiglio dei ministri europei di stanziare altri due miliardi di euro per la consegna di munizioni di artiglieria all’Ucraina.
L’importante novità è data che attraverso l’Agenzia europea per la difesa ci sarà un acquisto congiunto di munizioni sul modello degli acquisti di vaccini e di riserve di gas. Una maggiore autonomia strategica si lega anche alla circostanza che non sempre i nostri interessi coincidono con quelli americani considerato, fra l’altro, che in tal caso il tragico scenario cui assistiamo ci riguarda molto da vicino.
Serve allora nell’immediato, pur mantenendo gli indispensabili aiuti anche militari all’Ucraina per evitare che essa soccomba (con conseguenze gravissime per tutti), l’attivazione di una più forte, anche se sottotraccia, azione diplomatica; questa va svolta anzitutto nei confronti di Zelensky, se rassicurato in termini di aiuti, perché cominci a ragionare sugli inevitabili sacrifici che comunque saranno messi in conto al momento dell’apertura dei negoziati di pace.
Non è più rinviabile, nel contempo, una riflessione più ampia sul ruolo dell’Unione europea nella Comunità internazionale. Per attribuirle una funzione di co-protagonista gli Stati membri devono finalmente decidere di avviare il percorso verso una sua progressiva trasformazione in senso federale. È una necessità diretta anche a rendere più forte la stessa «alleanza delle democrazie» con gli Stati Uniti rispetto a quella, purtroppo sempre più solida, delle «autocrazie», avente come perno Cina e Russia.
Docente diritto europeo, università di Bari, socio e docente Cuf
Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno, 27.3.2023
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