L’aumento del numero di lavoratori che danno le dimissioni è alimentato anzitutto dall’uscita dei professionisti più qualificati: informatici, ingegneri, medici, architetti, chimici, geometri, ma anche operai specializzati e periti. Cercano di cogliere le opportunità che la ripresa occupazionale può offrire a chi vuole cambiare lavoro, per quei profili tecnici e specializzati che le aziende faticano a trovare. Le percentuali più alte riguardano le professioni tecniche (+22,4%), quelle ad elevata specializzazione (+19%) dove si riscontra elevatissimo tasso di ricollocazione, seguono i laureati (+17,7%).
Tra le donne si registrano più dimissioni
Sono dati raccolti dalla Fondazione studi Consulenti del Lavoro che confrontano il periodo compreso tra il 2019 e il 2021. Dati che vanno letti dunque con un’avvertenza: nel 2022 il fenomeno delle “Grandi dimissioni” si è ulteriormente accentuato: le comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro evidenziano che nel terzo trimestre 2022 (ultimo dato disponibile) a dimettersi sono state 562.258 persone, tra loro 317.734 erano uomini e 244.524 donne. Rispetto allo stesso trimestre del 2021 sono 34.974 in più (+22.717 donne e +12.257 tra gli uomini), mentre rispetto al secondo trimestre 2022 si registra una frenata (-21.529), anche se il confronto è con aprile-giugno 2022 che con 583.787 dimissioni rappresenta il picco degli ultimi anni.Guardando all’andamento del fenomeno tra i generi, anche nel confronto congiunturale tra il secondo e il terzo trimestre 2022 si contano più dimissioni tra le donne (+4.386) che tra gli uomini (in questo caso, anzi, il confronto è pari a -25.915).
De Luca: dato accentuato dalla ripresa post Covid
«Il dato non ci sorprende – commenta Rosario De Luca, presidente del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro -il fenomeno non è nuovo, anche se in Italia storicamente non si è mai raggiunto il grado di dinamicità di altri Paesi, come ad esempio gli Usa. L’accentuazione dell’ultimo periodo è dovuta alla ripresa del mercato del lavoro e dell’economia dopo lo stop creato dalla pandemia. Non a caso interessa anzitutto i profili più qualificati, che sono anche più difficili da trovare per le imprese».
Tra i settori spiccano edilizia e sanità
Tra i settori, spicca quello delle costruzioni, dove sulla scia dell’ottima fase legata all’ecobonus del 110% è avvenuto il 9,7% delle dimissioni, tra il 2019 e 2021 c’è stata una crescita del 47,1% del numero di dimissioni, e molti profili (operai e artigiani specializzati) sono diventati difficili da trovare per le imprese. Anche tra le attività professionali, scientifiche e tecniche e il comparto sanità e assistenza sociale, nello stesso arco temporale si registra un sensibile aumento del fenomeno (rispettivamente del 20,2% e del 33%) accompagnato da un elevato tasso di ricollocazione dei lavoratori. «In questi casi – continua De Luca -, è la dinamicità della ripresa e la difficoltà di reperimento dei profili, che rende più concorrenziali i lavoratori specializzati. È cresciuta negli ultimi anni la domanda di cambiamento tra i lavoratori italiani, alimentata dall’insofferenza verso situazioni insoddisfacenti o dalle opportunità che si sono venute a creare».
Oltre la metà cerca un migioramento retributivo
Dall’ultima indagine condotta dalla Fondazione Studi consulenti del lavoro su un campione di 1.085 lavoratori emerge un generale desiderio di novità professionale. Il 5,5% ha cambiato lavoro nell’ultimo biennio, mentre il 14,4% si sta attivando per farlo. A questo si aggiunge un 35,1% che desidera una nuova occupazione. Dietro le dimissioni c’è anzitutto la ricerca di un miglioramento retributivo (il 52,5% considera questo aspetto irrinunciabile nel nuovo lavoro).
I giovani alla ricerca di maggior equilibrio vita-lavoro
Ma sempre più, soprattutto tra le generazioni meno adulte, si punta al raggiungimento di un maggiore equilibrio e benessere personale (49%), si accentua la ricerca di nuove opportunità, a tutti i livelli della piramide professionale. «Siamo anche in presenza di un cambiamento di approccio verso il lavoro, soprattutto da parte dei più giovani – conclude De Luca – che puntano in molti casi a trovare un migliore equilibrio tra “senso” e reddito e tra vita privata e professionale. Sta cambiando il valore che viene attribuito al lavoro. Non vorrei, però, che si andasse verso una considerazione del lavoro come semplice orpello per sopravvivere».
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