La pandemia, i cambiamenti climatici, il caro energia e l’inflazione hanno reso i ricchi (pochi) sempre più ricchi e i poveri (molti) sempre più poveri. È quanto emerge dal rapporto Oxfam “La disugugaglianza non conosce crisi’, pubblicato – come di consueto – all’apertura del World Economic Forum (Wef), in programma da oggi e fino al 20 gennaio a Davos, sulle Alpi svizzere. Il vertice, che torna in versione invernale e in presenza per la prima volta dal gennaio 2020, si concentrerà sulla “Cooperazione in un mondo frammentato”. Oltre 2700 i partecipanti, 52 capi di stato tra cui forse anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, e 450 i panel in programma. Ma ad eccezione del Cancelliere tedesco Olaf Scholz, non sarà presente nessun leader del G7, e comunque le aspettative sono basse: per gli economisti il 2023 porterà una recessione globale, mentre l’economia continuerà ad essere segnata dalle tensioni geopolitiche. Con delle differenze: “Mentre la gente comune fa fatica ad arrivare a fine mese – dichiara Gabriela Bucher, direttrice esecutiva di Oxfam International – i super-ricchi hanno superato ogni record nei primi due anni della pandemia, inaugurando quelli che potremmo definire i ‘ruggenti anni ’20’ del nuovo millennio”.
Globalizzazione in crisi?
In cerca di risposte per un mondo frammentato da guerra, nazionalismi e tensioni geopolitiche crescenti, il World Economic Forum si trova a fare i conti con le ricadute di crisi diverse e consecutive in un clima di preoccupazione crescente. Secondo gli economisti una recessione globale nel 2023 è uno scenario sempre più possibile, mentre il nuovo ‘disordine mondiale’ sta contribuendo a trasformare la globalizzazione come l’avevamo conosciuta finora. E non è solo colpa della guerra che la Russia – oggi assente ma che fino al 2021 era fra le potenze più influenti e benvenute a Davos – ha scatenato nel cuore dell’Europa. “Il problema è più profondo e il cambio di pelle è ovunque […] – osserva Federico Fubini sul Corriere della Sera – Fra Stati Uniti e Cina si alzano barriere commerciali, le filiere globali dell’industria non si sono mai riprese del tutto dalla pandemia, mentre Bruxelles e Washington si scontrano su chi sussidia di più la propria industria”. Sarà per questo che al vertice di quest’anno nelle Alpi svizzere fanno più rumore gli assenti dei presenti: mancano gli oligarchi russi, come sottolinea Bloomberg, ma non solo. Non ci saranno il presidente americano Joe Biden e il cinese Xi Jinping, come pure il francese Emmanuel Macron, il premier britannico Rishi Sunak, il canadese Justin Trudeau e il rieletto leader brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva. In compenso, sulla lista degli invitati ci sono oltre 100 miliardari, rappresentanti sauditi e degli Emirati Arabi, innumerevoli Ceo e operatori finanziari di Wall Street. Un ambiente corrosivo per i leader politici delle democrazie in affanno, convinti che da Davos in tempi di inflazione galoppante e disuguaglianze crescenti forse è meglio stare lontani. La loro assenza è forse anche una dimostrazione di come l’economia globale non sia più materia su cui i capi di stato hanno controllo, esercitato piuttosto da un ristretto manipolo di privati.
Disuguaglianze favorite dal fisco?
A mettere nero su bianco i numeri di un mondo sempre più disuguale è il nuovo rapporto di Oxfam secondo cui dal 2020 l’1% dei più ricchi si è accaparrato quasi il doppio dell’incremento della ricchezza netta globale, rispetto al restante 99% della popolazione mondiale. Le fortune dei miliardari crescono alla velocità di 2,7 miliardi di dollari al giorno, mentre almeno 1 miliardo e 700 milioni di lavoratori vivono in paesi in cui l’inflazione supera l’incremento medio dei salari. Intanto i governi delle regioni più povere spendono oggi quattro volte di più per rimborsare i debiti rispetto a quanto destinano per la spesa pubblica in sanità. Col risultato che ogni quattro secondi una persona muore per mancanza di accesso alle cure, per gli impatti della crisi climatica, per fame, per violenza di genere. Fenomeni connotati da elevati livelli di disuguaglianza. Le crisi continuano ad ampliare i divari: “Pur a fronte di un 2022 nero sui mercati, a non restare scalfito è il destino di chi occupa posizioni sociali apicali, favoriti anche da decenni di tagli alle tasse sui più ricchi”, dichiara Gabriela Bucher, direttrice esecutiva di Oxfam International, secondo cui per invertire una tendenza drammatica, che si traduce in povertà, migrazioni, conflitto sociale e crisi delle democrazie, basterebbe “un sistema fiscale più equo, a partire da un maggiore prelievo sugli individui più facoltosi: è uno degli strumenti di contrasto alle disuguaglianze”. Un’imposta del 5% sui grandi patrimoni potrebbe generare risorse da riallocare per obiettivi di lotta alla povertà a livello globale affrancando dalla povertà fino a 2 miliardi di persone.
In the mood for Davos?
Anche se l’emergenza pandemica, almeno in Europa, sembra essere alle spalle, il Covid ha lasciato il segno nel modo in cui i governi e le imprese pensano alla globalizzazione. “Il presupposto che le merci possano essere spedite facilmente e rapidamente in tutto il mondo è andato in frantumi – osserva Gideon Rachman sul Financial Times – e le aziende sono passate da strategie di supply chain ‘just in time’ a ‘just in case”. Altri scenari, come nuove emergenze sanitarie una volta ritenuti eventualità remote, sono diventati più plausibili. Gli eventi meteorologici estremi si moltiplicano, sollevando interrogativi sulla sicurezza alimentare e sui viaggi. E al di là degli invitati più blasonati, al Forum di quest’anno, manca quello che il suo fondatore Klaus Swab ama chiamare “lo spirito di Davos”: quello grazie al quale gli incontri annuali promuovevano una forma inclusiva di globalizzazione e partecipanti da tutto il mondo lavoravano in modo collaborativo per affrontare problemi comuni come il cambiamento climatico. “La percezione popolare è che il WEF sia un’organizzazione segreta e sinistra simile a qualcosa uscito da un romanzo di James Bond. In realtà, non ha alcun potere esecutivo ed è più un gigantesco forum di discussione globale in cui i leader mondiali colgono l’opportunità di confrontarsi tra loro e i dirigenti fanno affari a porte chiuse” osserva Larry Elliott sul Guardian, aggiungendo che “in un certo senso prepara il terreno per i vertici successivi nel corso dell’anno, in cui vengono prese decisioni reali”. Un po’ di quello ‘spirito’ oggi non guasterebbe: l’invasione russa dell’Ucraina ha dimostrato che l’impensabile può accadere. La prima grande guerra in Europa dal 1945 viene combattuta a poco più di duemila chilometri dalle piste innevate di Davos.
Commento
“La pandemia e i cambiamenti climatici hanno aggravato il divario tra poveri e super-ricchi in tutto il mondo. Il ritorno della guerra in Europa – con i risvolti sul fronte dell’energia, della food security e dell’inflazione – ha fatto il resto, terremotando definitivamente un ordine globale già in crisi. L’onda sismica ha aumentato le diseguaglianze tra Nord e Sud del globo, mettendo a rischio la stabilità sociale e democratica. Ma ha iniziato a colpire anche i ricchi, a partire dai Paesi avanzati e dai Big-tech. La ricerca di un nuovo e più equo modello di sviluppo e di coesistenza è a questo punto improcrastinabile. Missione impossibile se non si abbandonano i parametri novecenteschi. Specie in tempi di “polycrisis” e per evitare una “permacrisis”.
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/davos-e-disuguaglianze-37270