Il Vangelo odierno: In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio» (Gv 1, 29-34 – II TO/A).
15 gennaio 2023. Nella letteratura politica è molto studiato il rapporto tra leader e seguaci: svariatissimi sono i modi in cui si può gestire questo rapporto. Ci sono leader collaborativi o autocrati, rispettosi o dispotici, attesi agli altri o distratti, protesi alla crescita degli altri o autoreferenziali. Al tempo stesso ci sono seguaci autentici o falsi, leali o ambigui, sinceri o adulatori. Dal rapporto di Giovanni con Gesù abbiamo molto da imparare. Ci soffermiamo sul rapporto del seguace Giovanni con il leader Gesù.
Iniziamo da quanto è espresso in questo brano: “Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!” L’attenzione primaria è nel riconoscere Gesù nella sua piena identità. Chi lavora autenticamente per un leader, in questo caso Gesù, non è un propagandista, né un “self promoter”, è una persona che crede nel leader e si sente coinvolto in tutto e per tutto dalla sua missione. Giovanni è cosciente che la sua missione si basi sul fatto che il Cristo venga dopo di lui “ma è davanti a lui, perché era prima di lui”. Il Cristo deve “brillare più di chi lo annuncia”, ci ricorda Francesco (EG, 138).
Eppure spesso non è cosi. L’io ingombrante di molti leader (politici, dirigenti di azienda, responsabili di istituzioni e uffici, docenti, vescovi, preti, catechisti, giornalisti e via discorrendo) sposta l’attenzione da ciò che si annuncia o si vuole realizzare a se stessi. Gli esempi sono tantissimi e non c’è leader o istituzione che possa sentirsi immune dalla tentazione dell’autoreferenzialità. Ci sarebbero diversi esempi da citare: i partiti politici sono “incentrati” sui loro leader e non su contenuti e strategie politiche; le squadre di calcio sono sempre meno un gioco di squadra e sempre più club di “prime-donne”; le comunità di fede religiosa, come aziende ed uffici, hanno speso “prime donne” che calpestano gli altri e via discorrendo.
Spesso, nelle nostre scuole di politica, mi chiedono cosa fare per preservarsi dalla piaga della autoreferenzialità. Risposta molto difficile. La via maestra da indicare è certamente quella della formazione. Ma, insieme a questa, va ricordato che abbiamo bisogno di relazionarci costantemente a parenti stretti e amici, a un gruppo o a una comunità per fare discernimento. Chi ci vuole bene può aiutarci a capire se proponiamo noi stessi o il Cristo, noi stessi o la finalità che portiamo avanti.
Giovanni, uomo onesto, è tutto proteso a testimoniare quello che ha visto, udito, contemplato. Non gli importa della sua persona, ma del Cristo, “che deve crescere”, mentre “lui deve diminuire” (Gv 3, 30). Tutto ciò non ha solo una valenza cristiana, ma anche laica. Ogni vero leader non attira l’attenzione su di sé, ma sui contenuti etici che porta e sul progetto che vuole realizzare.
Ogni leader autentico non sopprime, non annulla, non umilia, ma fa crescere verso il bene tutti, condividendo finalità e risorse della propria missione; direbbe Mounier “crea, sviluppa, amplifica”.
Rocco D’Ambrosio [presbitero, docente PUG Roma, pres. Cercasi un fine, Cassano, Bari]