L’invasione russa dell’Ucraina che ha portato la guerra nel cuore dell’Europa continua ad essere un buco nero che distrugge vite umane e beni materiali senza che si veda ancora all’orizzonte una possibile soluzione. Nel frattempo, episodi come l’assalto a Capitol Hill negli Stati Uniti e ai palazzi del governo a Brasilia presentano tra loro pericolose analogie introducendoci a nuove e diverse forme di conflitto. In che modo in un contesto così complesso e compromesso è possibile essere operatori di pace?Il primo passo è capire la natura dei conflitti. Quello russo-ucraino è di vecchio tipo, una contesa per beni privati strategici, per loro natura rivali. Un territorio, ricco di risorse strategiche, o è mio o è tuo e ci facciamo guerra per contendercelo, soprattutto quando ci sono mescolanze di etnie che danno adito a rivendicazioni territoriali da una parte o dall’altra. Si tratta di un tipo di conflitto che facciamo fatica a capire nell’era della rete dove i beni più importanti sono di natura completamente diversa (non rivali, e il cui valore addirittura aumenta quante più persone entrano a far parte del network).
I conflitti americano e brasiliano che rischiano se non gestiti di sfociare in conflitti civili permanenti nascono invece da contrapposizioni ideologiche che sono alimentate e fomentate da fenomeni nuovi quali l’uso distorto dei social media e il ruolo in essi dell’intelligenza artificiale. Se dobbiamo a McLuhan la consapevolezza che l’avvento della televisione ha creato il villaggio globale, il vero salto di qualità da questo punto di vista arriva con l’avvento dei social media che, a differenza della televisione, consentono interazione in tempo reale da ogni angolo del pianeta.Purtroppo, quest’aumento d’interazione non è privo d’insidie. Esiste una letteratura scientifica ormai consolidata che spiega come la massimizzazione del profitto delle aziende che gestiscono i social media si realizzi attraverso strategie che si propongono di aumentare contatti e interazioni e, dunque, entrate da pubblicità. E il modo migliore per aumentare le interazioni è creare occasioni di conflitto verbale, se necessario anche favorendo e non bloccando la proliferazione di account fake che operano in questa direzione. Aumento della polarizzazione e proliferazione dei populismi sono l’effetto empiricamente verificato di queste strategie. La risposta sensata non può essere quella di abbandonare il campo.
Questa sfida va accolta (anche perché le potenzialità di utilizzo positivo dei canali digitali sono straordinarie), bisogna incarnarci e spenderci pure nelle nuove piazze virtuali in cui si svolge gran parte la vita sociale e batterci per il superamento di questo ennesimo fallimento del mercato chiedendo opportuna regolamentazione che aiuti i cittadini a distinguere il vero dal verosimile (ma falso).
Essere operatori di pace ovviamente non si esaurisce in attività online, ma resta fondamentale nei processi generativi che costruiamo nel mondo offline. Il punto chiave qui è operare per la logica della cooperazione e della superadditività (dove uno con uno fa sempre più di due) che promuove innovazione economica e sociale e contrapporla alla logica del conflitto per le risorse date (dove uno contro uno fa sempre meno di due, basti pensare alla perdita di vite umane, alla distruzione di risorse e ai crolli di Pil derivanti dalla guerra russo- ucraina).
L’arte delle relazioni e della cooperazione è un’arte difficile e lo scambio di doni (la generosità e l’eccedenza come prima mossa) è la chiave per creare fiducia, meritevolezza di fiducia e capitale sociale (anche su questo punto le evidenze sperimentali in economia e nelle scienze sociali sono vastissime).
Per questo è particolarmente importante spendersi per quel tipo di economia che crea valore sociale rispondendo alle sfide di oggi, come ad esempio il consumo e il risparmio responsabile, la biodiversità delle forme d’impresa che mettono assieme valore economico e valori, la nascita delle comunità energetiche e i processi d’amministrazione condivisa e di co-programmazione tra amministrazioni locali e organizzazioni della società civile. L’etica e la qualità della dialettica politica è un altro luogo fondamentale da presidiare se vogliamo costruire la pace. Il circolo vizioso fomentato da logiche mediatiche perverse ci smarrisce in una conflittualità senza senso che avvilisce la vita politica. Il tristissimo dibattito sulle accise di questi giorni insegna.
All’opposizione si fanno promesse irrealizzabili e incompatibili con il vincolo di bilancio che poi si smentiscono una volta al potere. Intanto chi era al governo e ora è all’opposizione spergiura che quei provvedimenti demagogici li avrebbe realizzati sapendo invece che si sarebbe comportato esattamente allo stesso modo se fosse stato ancora al potere. Il principio più generale di questa logica di conflitto becero che fa tanto spettacolo è che se l’avversario dice o fa qualcosa che anche tu pensi sia sensato devi per forza dire che è una sciocchezza. Non siamo condannati a una politica delle marionette, dove il pubblico si diverte quanto più i protagonisti si “danno mazzate”. Il circolo vizioso si può rompere favorendo una crescita e maturazione del dibattito politico.
Un sussulto d’intelligenza è possibile riconoscendo elementi positivi nel lavoro altrui e spostando la competizione su ciò che di meglio si sa concretamente proporre per il bene comune. La guerra e i conflitti che distruggono sono oggi molto più subdoli e vicini di quanto crediamo. Di fronte a noi c’è un futuro molto difficile ma anche affascinante per chi vuole spendersi nella bellissima missione di essere operatore di pace.
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