L’Italia viaggia verso il futuro con gli occhi incollati allo specchietto retrovisore. Questa è l’impressione che fa a chi, come me, vive negli Stati Uniti e rivolge uno sguardo «esterno» al proprio Paese. Rispetto alle emergenze che preoccupano il mondo intero, il dibattito italiano è spesso angusto, dominato da questioni marginali, o che ci risucchiano verso il passato. Gli imperativi della sicurezza nazionale in un mondo affollato di potenze ostili; le soluzioni alla nostra fame di energia; il rilancio dell’industria nazionale nell’era post-globalizzazione: questi temi hanno avuto una visibilità minore rispetto al Pos e alle pensioni.
È il passato che divora il futuro. È emblematica la vicenda del Pos, per chi vive negli Stati Uniti: dove sono i piccoli esercenti a chiederti di usare la carta di credito o la app sul telefonino, perché sono ormai passati a una contabilità tutta digitale. In quanto alle pensioni: i due Paesi avanzati dove si lavora più a lungo, America e Giappone, sono anche quelli che hanno meno disoccupazione giovanile.
Non trovo traccia di una vera attenzione nazionale alla difesa. Vladimir Putin, l’altro «uomo dell’anno», quello che ha cercato di trasformare il 2022 in un nuovo 1939, ha appena deciso di accrescere il bilancio militare della Russia del 30%, un’enormità che dice quanto la guerra in Ucraina rischi di trasformarsi in un conflitto di lunga durata. Le nostre sanzioni non mordono abbastanza sulla Russia perché Cina e India la foraggiano.
La collaborazione militare con l’Iran fornisce a Putin droni e missili a volontà. L’Occidente, reduce da un lungo letargo pacifista, per rifornire di aiuti Kiev vede i propri arsenali difensivi assottigliarsi pericolosamente. L’America, pur alla vigilia di una probabile recessione, aumenta a sua volta il bilancio del Pentagono del 10%. La Cina prosegue un riarmo a tutto campo che l’ha già portata a superare la flotta militare americana, un sorpasso inaudito fino a dieci anni fa. L’Italia cosa vuol fare? Insieme con la Germania è uno dei Paesi che non fa neppure il minimo essenziale per rispettare gli impegni presi con la Nato, è al di sotto del 2% di Pil investito nella propria sicurezza. Senza una presenza militare adeguata ci illudiamo di contare qualcosa nel Mediterraneo, dove pure si affacciano i Paesi da cui dipenderemo ancora a lungo per il gas (in sostituzione di quello russo). I nostri vicini nordafricani e mediorientali rispettano chi sa farsi rispettare. L’allarme per il Qatargate è sacrosanto; va accompagnato da un’analisi lucida sulla nuova geopolitica dell’energia.
A proposito di energia, si ha l’impressione che gli aiuti governativi per attenuare il trauma delle bollette abbiano attenuato anche il senso di urgenza. Viviamo in una finta tregua, i prezzi del gas sono scesi rispetto alle punte massime, ma per le ragioni sbagliate. Da un lato, perché abbiamo fatto incetta di gas (ai prezzi più alti possibili) onde riempire le nostre scorte invernali, poi i nostri acquisti all’ingrosso si sono moderati. D’altro lato il preoccupante rallentamento dell’economia cinese riduce gli acquisti dalla nazione più energivora del pianeta.
Ma quando si tratterà di rifare le scorte per l’inverno 2023-24, noi a che punto saremo? La Germania sta attivando il triplo dei nostri rigassificatori, per poter comprare gas liquido da un ventaglio di fornitori diversificato. Un ampio numero di Paesi, dal Regno Unito al Giappone, stanno rilanciando il nucleare. Joe Biden ha varato nuove leggi — e una iniziativa diplomatica verso l’Africa — per garantirsi approvvigionamenti sicuri nei minerali e metalli rari indispensabili per fabbricare pannelli solari o auto elettriche. Dove si situa l’Italia in questi movimenti strategici?
La questione energetica si lega a quella della nostra reindustrializzazione. Il mondo entra in un capitolo nuovo nella storia della globalizzazione. Si sta chiudendo una fase durata trent’anni in cui l’economia mondiale era segnata dalla crescente integrazione fra l’Occidente e la Cina. Quella simbiosi è in crisi da tempo e per diverse ragioni, la prima in ordine cronologico fu la svolta sovranista di Pechino dal 2008 (molto prima che il sovranismo diventasse una parola in voga in Occidente). La guerra di Putin ha accelerato il consolidamento di nuovi «blocchi». Le aziende occidentali oggi hanno un interesse vitale ad aggiornarsi sugli scenari strategici, per non finire dalla parte sbagliata di qualche embargo, sanzioni o rappresaglie. Il friend-shoring, la rilocalizzazione di attività industriali in Paesi amici, alleati o affidabili, in teoria apre delle opportunità per l’Italia, seconda potenza manifatturiera nell’Unione europea. Sarà difficile cogliere queste opportunità se sono proibitivi i costi energetici per chi fa attività d’impresa in Italia. Il caro-energia si aggiunge agli handicap burocratici e fiscali, nonché ai ritardi nella digitalizzazione.
Un altro problema nella nuova fase della globalizzazione riguarda l’ambiente. Negli ultimi trent’anni noi abbiamo delocalizzato in Cina non soltanto perché il costo del lavoro era più basso là, ma anche perché volevamo allontanare dai nostri occhi e dalle nostre coscienze ogni attività che «sporca»: compresa l’estrazione e lavorazione di componenti essenziali per le energie «pulite». Litio, silicio, per esempio, li vogliamo nei nostri pannelli fotovoltaici e nelle nostre auto elettriche, ma non vogliamo sapere come e dove vengono prodotti. Altri filoni di ricerca sull’energia del futuro — dall’idrogeno verde alla fusione nucleare — ricevono un’attenzione sporadica, anche se fior di scienziati italiani e alcune multinazionali italiane sono presenti in quelle sfide.
Di politica industriale, delle condizioni per attrarre o riportare sul suolo italiano eccellenze produttive, si è parlato poco. Nulla in confronto all’attenzione smisurata verso una flat tax riservata a categorie limitate di autonomi e professionisti. La «perma-crisi» di oggi non è più grave di quella degli anni Settanta, quando il primo shock energetico colpì un’Italia già stremata da alta conflittualità sociale e terrorismo. Le crisi possono servire a innovare. Altrove, gli anni Settanta diedero un impulso alla ricerca sull’auto elettrica e l’energia solare. Dobbiamo evitare che anche questa crisi generi opportunità solo «altrove».
https://www.corriere.it/opinioni/22_dicembre_18/italia-vista-usa-dibattito-angusto-nodi-veri-9e44c098-7f05-11ed-a618-b9ad4ba09452.shtml
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