Matteo Losapio ha scritto (qui) sull’argomento della sessualità in ambito religioso con l’intento di avviare una riflessione decisamente necessaria. Parlarne è molto importante perché può diventare la chiave per abbattere alcuni tabù.
Innanzitutto Losapio distingue l’intimità dal segreto, l’intimità nella sessualità è sana e presuppone anche la maturità nell’accettare le proprie pulsioni ed i propri desideri, passo fondamentale per arrivare ad una scelta che può essere anche quella della castità. Il segreto invece potrebbe nascere dalla proibizione imposta dalle regole istituzionali e potrebbe suscitare comportamenti devianti, qualora la repressione interiore porti ad eliminare qualsiasi capacità introspettiva, cosa che avviene nelle psicosi.
Forse non sarebbe male se ci fosse uno psicologo in seminario. O questo è un altro tabù? La mia è una domanda a Losapio.
Intanto anche per le persone non destinate alla vita religiosa, la sessualità ha gli stessi aspetti di intimità o segreto.
Ecco perché parlarne o cominciare a parlarne è importante. Io penso che lo si potrebbe fare anche in parrocchia, con una sorta di analisi istituzionale, perché se è vero che i preti hanno i loro desideri e fantasie sessuali, è anche vero che fra le fedeli può esserci una spesso inconfessata proiezione degli stessi desideri.
Parlarne, questo sarebbe davvero un primo grande passo.
Anni fa partecipai ad una marcia da Gubbio ad Assisi con arrivo a Santa Maria degli Angeli il 2 agosto. I partecipanti erano frati e suore francescani e tanti novizi e ragazzi che desideravano intraprendere la vita religiosa. Il tema delle riflessioni durante la marcia era incentrato su questa scelta di vita e quindi anche sulla scelta della castità. Ognuno era invitato a meditare questa scelta come opportuna o addirittura impossibile. Fu un’esperienza molto interessante. (Faccio una piccola digressione. Io ero lì come medico ma, dopo aver constatato la mia impossibilità a marciare, mi unii al gruppo logistico facendo pieno servizio, ma partecipavo regolarmente ai momenti di riflessione che avvenivano in piccoli gruppi di circa otto persone.)
Quei momenti di riflessione furono molto preziosi per me e penso per tutti gli altri. Fu lì che scoprii come fosse possibile per giovani ragazzi e ragazze, alcuni di bellezza straordinaria, riflettere, vestiti del loro saio ed in vista della loro promessa di castità una luce ed una gioia che fino a qualche tempo prima non avrei immaginato e che non vedevo direi in nessun altro loro coetaneo.
Per la prima volta scoprii che la castità non era “semplicimente” un consiglio suggerito da San Paolo quando, immaginando che la fine del mondo sarebbe avvenuta di lì a breve, disse ai primi cristiani di evitare di sposarsi. Scoprii che il celibato dei preti non era mai stato un dogma ma piuttosto una prassi trasformata in norma nel medioevo, tra l’altro per escludere dall’asse ereditario i secondogeniti delle famiglie nobili. Eppure, con tutta l’apparente opportunità di abolirne la norma per evitare per l’appunto quel segreto e quella imposizione che può esitare in devianze, scoprii che alcuni dei partecipanti alla marcia si mostravano così innamorati di Dio da non riuscire a “tradirlo” con un amore umano.
Capii allora che la scelta della castità è un punto di arrivo di un percorso di spiritualità. In effetti se credi di avere uno spirito che raggiungerà un giorno la vita celeste non puoi che convenire che per giungere a quel traguardo, partirai dall’essere carne e ti avvicinerai col tempo sempre più al tuo futuro essere totalmente spirituale. È qualcosa che avviene anche nelle coppie col tempo, cioè l’unione dei coniugi si fa sempre più spirituale e sempre meno carnale, ma direi che forse avviene con l’età in tutti, alcuni la chiamano “pace dei sensi” ma secondo me è proprio il prepotente prevalere della vita spirituale che travolge anche il corpo, il tempio dello spirito.
Ma quei giovani avevano fatto un percorso veloce e lo asserivano. Con un bisticcio di parole dico che non volevano perdere quel “perduto” amore verso Dio e verso il prossimo facendo dell’amore una scelta privata, intima o segreta che fosse.
Se è vero che la Bibbia parla dell’amore di Dio verso il suo popolo usando spesso il termine che si usava per definire l’amore carnale, peraltro anche connotato dalla gelosia, è altrettanto vero che gli esseri umani, per avvicinarsi a Lui, fanno il percorso apparentemente contrario, invaghiti nello spirito e travolti al punto da non voler aver più unirsi ad alcun altro se non a Dio stesso.
Un mistero. Ma tangibile. Proprio per questo, io penso, bisogna parlarne nei seminari, nella Chiesa, nei sinodi. Chi non è gioiosamente destinato ad una simile sublimazione dell’amore, possa pure diventare sacerdote, ma si sposi. La castità non può essere imposta.
Angela Donatella Rega [medico, vicepresidente di Cercasi un Fine, Monopoli, Bari]