Hanno provato a farlo fuori con un golpe giudiziario. L’hanno sbattuto in galera. Hanno cercato di “seppellirlo vivo”. Ma lui si è risollevato. E ha vinto. Una vittoria che supera i confini, pur grandi, del Brasile, e che è motivo di speranza e di gioia per tutti coloro che nel mondo si sentono di sinistra. Ecco perché oggi non possiamo non dirci tutti “brasiliani”.
Luiz Inacio Lula da Silvaha vinto le elezioni presidenziali in Brasile, superando il presidente uscente Jair Bolsonaro al ballottaggio che si è tenuto domenica con il 50,9% dei voti, al 99% dello scrutinio completato. Lula, candidato della sinistra e già presidente dal 2003 al 2011, aveva promesso un ritorno alle politiche sociali che avevano caratterizzato la sua precedente presidenza. Dopo la proclamazione dei risultati ha tenuto un discorso molto emozionato a San Paolo in cui ha detto, tra le altre cose: «Hanno cercato di seppellirmi vivo, ed eccomi qui».
Quel silenzio inquietante
Lula ha vinto dopo una campagna elettorale tesa e violenta, in cui Bolsonaro, leader della destra ultraconservatrice ed evangelica, aveva in diverse occasioni dato motivo di pensare che non avrebbe accettato il risultato elettorale. Al momento Bolsonaro non ha commentato il risultato né ammesso la sconfitta, e il fatto che possa non riconoscere la vittoria di Lula è un’eventualità che preoccupa molti. Il motivo è legato soprattutto agli stretti rapporti che Bolsonaro ha con gli stati maggiori dell’esercito: si teme che da qui all’insediamento di Lula (il primo gennaio), i sostenitori di Bolsonaro appoggiati dall’esercito possano cercare di impedire in modo violento la legittima vittoria di Lula. Il timore maggiore è che possa succedere qualcosa di simile a quanto accaduto negli Stati Uniti dopo la vittoria di Joe Biden alle ultime elezioni presidenziali, quando il presidente uscente Donald Trump non ne riconobbe la vittoria e centinaia di suoi sostenitori attaccarono il Congresso per impedire l’insediamento del nuovo presidente. La gente in strada, le bandiere, i caroselli di auto e moto, la musica e i cori che in diverse parti del paese testimoniano la festa dei suoi sostenitori vanno di pari passo a un risultato delle urne che racconta un paese diviso. A congratularsi subito con Lula c’è l’ex presidente Fernando Henrique Cardoso, che via Twitter scrive anche “ha vinto la democrazia, ha vinto il Brasile”, postando una sua foto con il neo presidente.
Arrivano le congratulazioni da tutti i leader dei paesi del Sud America, arrivano le felicitazioni di Emmanuel Macron (“Insieme potremo unire le forze per affrontare le molte sfide comuni e rinnovare i legami di amicizia tra i nostri due paesi”), di Joe Biden (“Elezioni libere, giuste e credibili”), dell’alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri, Josep Borrell (“Spero che lavoreremo insieme e che promuoveremo relazioni Ue-Brasile”). E congratulazioni sono giunte anche dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nonostante la sua passata e mai disconosciuta vicinanza con Bolsonaro.
Arriva anche qualche apertura dai rivali. Il governatore di San Paolo, Tarciso de Freitas, repubblicano e vicino a Bolsonaro, sottolinea che il risultato delle urne “è sovrano”. “E’ stata una tornata elettorale dura – dice – mostra che il paese è diviso in due, una parte progressista e una conservatrice. Manterremo il dialogo possibile con il governo Lula”.
“Il Brasile ha bisogno di pace e unità – le sue parole, dopo aver convocato la stampa in un albergo di San Paolo – dal primo gennaio governerò per tutti i brasiliani e non solo per quelli che mi hanno votato. È tempo di riunire la famiglia. A nessuno interessa vivere in un Paese perennemente in guerra. È tempo di deporre le armi”. L’unico vincitore di questa elezione, è per lui “il popolo brasiliano. Non è una vittoria mia o del mio partito, ma di un immenso movimento democratico. La maggioranza del popolo ha lasciato detto chiaro che desidera più democrazia. Vuole più libertà, più uguaglianza e più fraternità”. “Hanno cercato di seppellirmi vivo, ma sono risorto. Sono qui per governare il paese in un momento difficile, ma riusciremo a trovare risposte – spiega ancora Lula – il nostro impegno più urgente è porre fine alla fame”. Poi segna ancora la sua differenza con Bolsonaro. Il Brasile è un paese “pronto a riprendere il suo posto nel combattere la crisi climatica, specie in Amazzonia.Il pianeta ha bisogno di una Amazzonia viva”.
«In una delle elezioni più importanti del Brasile, oggi c’è un unico vincitore: il popolo brasiliano», insiste Lula. «Non è una vittoria mia o del mio partito, ma di un immenso movimento democratico», ha aggiunto Lula. «La maggioranza del popolo ha lasciato detto chiaro che desidera più democrazia e non meno. Vuole più libertà, più uguaglianza e più fraternità», ha continuato l’ex sindacalista, che ha iniziato il suo discorso «ringraziando Dio per avermi permesso di uscire da dove sono uscito e arrivare dove sono arrivato».
Guardandola mappa del voto, la composizione del congresso e risultati dei ballottaggi dei governatori, si capisce inoltre che per Lula il compito di governare non sarà per niente facile. Rio de Janeiro era già andata al “bolsonarismo” nella prima tornata elettorale e ieri anche San Paolo ha votato per il candidato vicino a Jair Bolsonaro. L’uomo di Lula nel centro economico del Paese,Fernando Haddad, ha dato battaglia fino alla fine ma non è riuscito nell’impresa: per lui comunque secondo molte voci si profila già un posto nel nuovo governo “lulista”, forse ministro dell’Educazione. Bolsonaro conquista dunque lo stato di San Paolo e la destra controlla il potere territoriale, scrive il quotidiano spagnolo El Pais. Tarcisio de Freitas, ex ministro di Bolsonaro, ha vinto nel distretto più grande del Paese. Lula avrà l’appoggio esplicito solo di 10 dei 27 governatori brasiliani.
Racconta Luigi Spina su Il Fatto quotidiano: “E’ finito l’odio”, grida una ragazza che tra sorrisi e lacrime intona cori per salutare l’elezione di Luiz Inacio ‘Lula’ da Silva, davanti al comitato elettorale dell’ex sindacalista a San Paolo. “E’ il momento di riconciliarci come nazione”, dice un giovane militante del Partito dei lavoratori (Pt) che copre la maglietta rossa con i colori verde-oro della bandiera. Parole del popolo che coincidono con quelle del leader. “È necessario ricostruire l’anima di questo Paese. Recuperare la generosità, la solidarietà, il rispetto delle differenze e l’amore per gli altri. E potete stare sicuri che l’amore nel nostro governo non mancherà”, afferma Lula nel suo primo commento da presidente eletto. Retorica che nasconde la preoccupazione del confronto parlamentare e politico radicale, intransigente e ostruzionista che non conoscerà probabilmente sconti nel terzo governo Lula, di ritorno al palazzo del Planalto dopo due storici mandati negli anni 2000 seguiti dai foschi anni dell’antipetismo, delle inchieste per corruzione e del carcere. Vicende giudiziarie che, amaro, Lula definisce “tentativo di interrarmi vivo”. La vittoria con meno dell’1 per cento dei voti, pari a poco più di 2 milioni di voti, e l’enorme numero di preferenze raccolte dal presidente sconfitto Jair Bolsonaro, oltre 58 milioni, danno la misura di un paese spaccato in due e lasciano bene intendere che prima di economia, sanità, politiche sociali e istruzione il Brasile dovrà cercare la pace. “A nessuno interessa vivere in una famiglia in cui regna la discordia. È tempo di riunire le famiglie, ricostruire i legami di amicizia spezzati dalla diffusione criminale dell’odio. A nessuno interessa vivere in uno stato di guerra permanente. Questo Paese ha bisogno di pace. È tempo di deporre le armi che non avrebbero mai dovuto essere impugnate” afferma Lula, che tuttavia non fa sconti al rivale. “In questa campagna elettorale non abbiamo affrontato un avversario, ma la macchina dello stato brasiliano a servizio del candidato per evitare che vincessimo le elezioni, ma sono ancora qua”.“Il Brasile è la mia causa, il popolo è la mia causa, e combattere le fame è la ragione per cui io combatterò fino alla fine della mia vita”, afferma Lula delineando la lotta alla povertà ancora una volta come priorità del suo governo. Insieme alla tutela dell’ambiente e del recupero di credibilità e ruolo di primo piano per il Brasile, dopo esser stato declassato a paria internazionale. “Stiamo per riguadagnare credibilità, prevedibilità e stabilità del Paese, in modo che gli investitori possano riacquistare fiducia nel Brasile e smettano di vedere il nostro Paese come fonte di guadagno immediato e predatorio, e diventino nostri partner nella ripresa della crescita economica con inclusione sociale e sostenibilità ambientale”, afferma il neo eletto presidente.
Il presidente operaio
Figlio di un contadino analfabeta, Lula cominciò a lavorare come sciuscià piccolissimo e imparò a leggere a soli 10 anni. Appena ventenne si trasferì in una città industriale vicino San Paolo, dove cominciò a lavorare come metalmeccanico. In un incidente perse il mignolo sinistro. La carriera politica di Lula iniziò nel 1969, dopo la morte della moglie per epatite. Nel giro di pochi anni divenne il capo dell’Unione dei Metalmeccanici, gettando le basi del futuro Partito dei Lavoratori. Quando fu eletto per la prima volta, in molti temevano che il passato da sindacalista di sinistra di Lula sarebbe stato un freno per lo sviluppo economico del paese. Al contrario, i suoi otto anni di mandato, grazie anche a un contesto economico favorevole dovuto all’aumento del prezzo delle materie prime di cui il paese è ricco, segnarono uno dei più notevoli periodi di crescita della storia del Brasile, cosa che gli permise di allargare notevolmente la sua base elettorale e di conquistare anche l’appoggio degli imprenditori, tanto da ottenere la partecipazione alla coalizione di governo del suo secondo mandato del partito centrista PMDB (Partido do Movimento Democrático Brasileiro).
La sfida del presidente operaio si è incentrata sulla riduzione della disparità economica all’interno della società brasiliana, il Brasile, infatti, risultava essere il settimo paese peggiore al mondo per la distribuzione di rendita. Uno degli strumenti per ridurre tale divario è stato il programma Bolsa Familia, introdotto nel 2004.
Attraverso questo programma, più di 11 milioni di famiglie con figli a carico (per un totale di 46 milioni di brasiliani), hanno beneficiato di aiuti economici fino a 35 dollari, con l’impegno di mandarli a scuola e fare controlli medici regolari. Dal punto di vista finanziario, invece, il governo di Lula ha rassicurato i mercati, mantenendo un’economia stabile tanto da ottenere il surplus nel budget come richiesto dal Fondo Monetario Internazionale.
Nel giugno del 2005, sul finire del primo mandato, uno scandalo travolse Lula e il suo governo. Secondo quanto riferito dal deputato laburista Jefferson, e Duda Mendonca, pubblicitario di Lula, diversi membri del Pt avrebbero incassato nel 2003 somme pari a 4 milioni e mezzo di dollari, depositati alle Bahamas.
Tali somme erano versate a deputati del Pt perché votassero progetti che stavano particolarmente a cuore all’esecutivo. In risposta alle accuse, l’11 agosto 2005, Lula apparve in televisione, col volto visibilmente commosso, chiedendo scusa ai brasiliani, dicendo di essere stato tradito dagli stessi compagni di partito, con pratiche “di cui non ho conoscenza”. Nonostante lo scandalo, nelle consultazioni del 2006, Lula ottenne il 60% dei voti, raggiungendo il massimo delle preferenze mai ottenute da un presidente.
André Singer, portavoce del primo governo Lula, ha spiegato di recente che è vero che Lula moltiplicò i programmi sociali contro la povertà, ma che in cambio portò avanti un programma che non comportò cambiamenti radicali nella società brasiliana, accettato in fondo anche dalle élite industriali e finanziarie del paese. Una delle caratteristiche del “lulismo” fu insomma secondo lui quella di creare uno stato sufficientemente forte per ridurre le disuguaglianze, ma senza rimetterne in discussione le strutture.
Con Lula il Brasile aumentò la propria influenza internazionale. In politica estera, Lula è stato definito un leader “pragmatico”, che ha cercato di mantenere buoni rapporti sia con l’allora presidente americano George W. Bush che con il leader venezuelano Hugo Chavez.
Lula prenderà le redini di un Paese afflitto da una grave disuguaglianza che sta ancora lottando per riprendersi dalla pandemia di Covid-19. Circa 9,6 milioni di persone sono cadute sotto la soglia di povertà tra il 2019 e il 2021 e i tassi di alfabetizzazione e frequenza scolastica sono diminuiti. Dovrà anche affrontare una nazione profondamente fratturata e urgenti problemi ambientali, tra cui la dilagante deforestazione in Amazzonia. “Il Brasile è pronto per lottare contro la crisi climatica e per la deforestazione zero dell’Amazzonia. Il pianeta ha bisogno di una Amazzonia viva: un albero in piedi vale più di tonnellate di legname estratto illegalmente”, ha affermato.
Caroselli di auto e moto, grida dalle finestre degli appartamenti, suoni di clacson e bandiere al vento riempiono le strade delle principali città. Da una parte i sostenitori dell’ex sindacalista, in lacrime di gioia, dall’altra il silenzio di delusione dei fan di Jair Bolsonaro. In una nazione spaccata a metà, le elezioni più polarizzate della storia del Paese si riflettono negli umori dei suoi cittadini, divisi da opposte tifoserie come in una finale della nazionale di calcio. A Rio de Janeiro, la seconda metropoli più grande del gigante sudamericano, gli elettori in festa si sono riversati sulla spiaggia, inondando con la loro allegria il quartiere di Copacabana. Mentre anche dalle ‘favelas’ sui morros (colline) partono fuochi di artificio a illuminare il cielo carioca.
E’ passato da “cadavere politico” a nuovo presidente, con una cavalcata storica che lo ha portato dal carcere di Curitiba ad entrare di nuovo, da inquilino, nel palazzo di Planalto. Bem-vindo camarada Lula