Non so per quale motivo quando tutti intorno a me andavano nella stessa direzione io mi sentivo improvvisamente risucchiata da una specie di stato di inerzia come se l’accelerazione degli altri mi lasciasse inesorabilmente indietro. è come se dicessi a me stessa: un momento, vediamo come stanno le cose. Non è il solito discorso dei portatori africani che durante una marcia a tappe forzate si fermano e, agli esploratori stupiti, spiegano che hanno corso troppo in fretta ed ora devono aspettare che le loro anime li raggiungano. No, io non ho mai corso, non ho mai avuto fretta ed ho preteso sempre dalla mia anima che camminasse insieme con me e quando non lo ha fatto l’ho rimproverata: che fai, dove vai, qua devi stare, non ti muovere. Questo mi ha permesso molte volte di osservare alcuni particolari degli eventi, dei comportamenti sociali collettivi o individuali, delle idee o delle ideologie, che agli altri sfuggivano, credo. Una conseguenza è stata, sostanzialmente, quella di non riuscire quasi mai a riconoscermi totalmente nelle opinioni dominanti di un gruppo, qualsiasi fosse. Ero antifascista ma non proprio comunista. Cristiana ma non proprio cattolica ecc ecc… E poi questo stato di inerzia ha sviluppato in me l’abitudine a cercare e trovare spesso le ragioni dell’altro, quindi anche di quelli che erano ai miei antipodi. Quanti amici di destra ho avuto? Tanti. Addirittura una volta ho avuto un collega che dicevano avesse idee naziste, francamente il lavoro lo organizzava onestamente e per il resto ero convinta che gli mancasse qualche venerdì, ma per fortuna il razzismo non rientrava tra le nostre attività lavorative quindi le sue rare esternazioni mi sollecitavano una certa ironia interiore che sottacevo, ero consapevole di rappresentare tutt’altro mondo, la distanza era talmente abissale che non tentavo il confronto, sarebbe stato impossibile. Sapendo che io ero di sinistra se ne uscì un giorno con questa affermazione: “Noi due abbiamo una cosa in comune: l’odio per gli israeliani”, ma si sbagliava, per un semplice motivo: io non odio. Certo non approvo la devastante politica israeliana nei confronti dei palestinesi, ma chi dovrei odiare? Posso odiare genericamente “gli israeliani” che comunque per anni sono usciti di casa senza sapere se vi sarebbero ritornati? Diverso è ripudiare un tipo di politica che porta a conflitti anziché sanarli. È proprio l’attaccare intere comunità come fossero una sola entità il principio che genera conflitti inesauribili. Consentitemi una divagazione nel mio dialetto: mettiamo in pratica meticolosamente un “A ci appartijn (a chi appartieni)?” di dimensioni astrali pur abitando lo stesso piccolo pianeta.
In casa di mio padre c’era un libricino intitolato “Pensaci uomo”. Io da bambina lo sfogliai e dentro c’erano immagini, fotografie. Montagne di occhiali, montagne di abiti, montagne di scarpe, montagne di borsette, montagne di corpi scheletriti ammucchiati l’uno sull’altro, e poi sapone, il sapone fatto con i corpi degli esseri umani morti nelle camere a gas.
Ci sono i negazionisti, ne parliamo come se fossero portatori di un’opinione, invece sono portatori di una rimozione.
Il lessico è importante. È ciò che esce dalla bocca di una persona che la accusa.
Gli orrori si rimuovono. Ma questo rafforza la tesi che le persone che negano o che ripetono, cioè hanno la coazione a ripetere, persino la violenza del passato, non sono persone forti, i forti sono quelli che sanno vivere in pace, sanno guardare in faccia gli orrori e ne sanno trarre insegnamento affinché non si verifichino più.
Riconoscendo un orrore puoi riconoscerne altri. Ma ti devi fermare, non devi avere fretta, devi trovare il tempo, devi sentire la forza d’inerzia mentre gli altri corrono dietro a miraggi.
Quel libricino di papà fu istruttivo per me. Ho riconosciuto da allora moltissimi altri orrori, per fare qualche esempio: dai genocidi subiti dagli armeni, dai croati, dai curdi, dai pellerossa, dagli africani di tante diverse nazioni, dai vietnamiti, alle guerre infinite che massacrano i palestinesi, i siriani, i malesi, i libanesi, i congolesi ora ucraini e russi, ai milioni di morti per fame ogni anno (pensate, ogni anno un “genocidio” per fame e la consideriamo una cosa normale) ed infine alle migliaia di donne e bambini sacrificati ogni anno sul mercato del sesso.
L’ultima battuta di Apocalypse Now. Orrore.
Eppure non ci fermiamo. Il principio di inerzia infatti dice anche che un corpo in moto tenta di continuare il suo stato quando forze contrarie lo bloccano, in questo caso la coscienza. Per questo, quando ci mettiamo in movimento, sarebbe importante muoversi nella direzione giusta, con cautela ed osservando le conseguenze del proprio moto e di quello di coloro che ci circondano.
Da quasi ferma ho osservato. Non c’era nessuno che avesse ragione fino in fondo. La verità era visibile chiaramente in mezzo alle opinioni contrastanti portate all’eccesso. Tutti in qualche modo esprimono una parte di ragione anche se alcuni hanno punti di vista falsati dalla propria storia individuale a volte deviante. Il traguardo della pace, ma qualsiasi traguardo per il genere umano, passa dalla capacità di fermarsi a riflettere e, successivamente, dialogare, comunicare disposti anche a fare passi indietro.
Angela Donatella Rega [medico, vicepresidente Cuf, Monopoli, Bari]