Ha scritto Jorge Luis Borges:
Il tempo è un fiume che mi trascina,
ma sono io quel fiume;
è una tigre che mi divora,
ma sono io quella tigre;
è un fuoco che mi consuma,
ma sono io quel fuoco.
Il mondo, disgraziatamente, è reale;
io, disgraziatamente, sono Borges.
Stringenti le parole di Borges. Esse sono, in maniera efficace, un buon antitodo alla retorica dei messaggi di fine e inizio anno dove gli auguri si perdono rapidamente nella scorsa all’ennesimo messaggio su WhatsApp (magari prestampato e riciclato). Quindi noi siamo “quel fiume” che chiamiamo tempo. Agostino lo ebbe a dire con altre parole: il tempo è “memoria del passato, attenzione al presente, attesa del futuro” (Confessioni). Ambedue gli autori, per vie diverse, ci riportano al mio io intimo, o interiorità, o cuore (direbbero gli autori biblici) o psiche (per i classici greci). E’ prima di tutto in me stesso che si gioca la partita del tempo, con un sano realismo e una poderosa dose di coscienza dei propri limiti.
I grandi eventi del villaggio globale (aggressione all’Ucraina, altre guerre, il ritorno del Covid in Cina, crisi sociale ed economica) e i piccoli eventi, positivi e negativi, della nostra vita (famiglia, lavoro, amicizie, gruppi e comunità di fede religiosa) sono accompagnati spesso dall’illusione che esista un dominatore, un leader (anche io stesso) capace di governare, indirizzare, raddrizzare tutto quello che non va. Certo non possiamo negare che qualche volta ne sorga uno realmente capace di fare tanto bene. Qualche volta, non tutti i giorni. Intanto è meglio abbassare la cresta e non farci troppe aspettative. E per farlo devo partire dal dato che io so “fiume, tigre e fuoco” ed è questa la realtà di cui dispongo e che devo indirizzare e governare, conducendo la mia vita tra sconfitte e vittorie. Papa Francesco ripete spesso che dobbiamo “dare inizio a processi”. Ciò significa che non siamo affatto i realizzatori dell’intero processo, ne siamo solo piccoli e limitati propositori oppure semplici collaboratori di processi iniziati da altri. Ma perché tutto questo è cosi difficile a comprendersi? Perché la nostra interiorità è spesso disordinata: alcune volte ostaggio di superbia e invidia, se non proprio di cinismo e corruzione.
Noi non diamo inizio a nessuna storia perché non abbiamo creato mai un bel niente e, caso mai lo avessimo fatto, l’abbiamo realizzato insieme ad altri e mai senza il loro aiuto e supporto. Siamo stati solo creati e fatti partecipi di qualcosa di grande. In altri termini non siamo noi a dare inizio alla storia (che sia il 2022 o il 2023) ma è solo il buon Dio autore di tutto quello che vediamo, ascoltiamo e facciamo; o, per chi non crede, l’autore è il fato, il caso o la fortuna o le energie benefiche. Se tutto va bene collaboriamo a questa grande storia, con i doni ricevuti, limiti e peccati permettendo. L’autenticità della nostra storia – è bene ricordarlo in tempi di populismi, bufale, infodemia e post verità – è data dal far parte di una storia più grande di noi, ossia quella che Dio scrive con ognuno di noi, con tutto i suoi giusti.
Nel vangelo del primo gennaio l’evangelista Luca annota: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2). Luca non ci ricorda il ruolo grande con cui Maria partecipa al racconto di Dio; ci ricorda, invece, che ella “custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Nel suo “Enrico V”, riferendosi alla maturazione avvenuta nel giovane re, Shakespeare parla di una capacità decisiva in questa crescita: la “consideration”, ossia la riflessione, la meditazione, il discernimento, la ruminazione su quello che si fa. Tale riflessione o meditazione deve portare ad acquisire, verificare e fortificare quanto avviene nella nostra vita, quanto Dio ci manifesta e ci indica. Per alcuni aspetti il segreto delle grandi storie sta nell’umiltà e nella meditazione che le accompagnano. Maria lo ha fatto.
Vi auguro un buon anno, in una storia più grande di noi e di processi avviati e non conclusi, con tanta, tanta “consideration”…